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Roberto Lala

Roberto Lala, presidente FMRI: “Si tratta di un tema complesso, una terra di confine non solo tra i due sessi ma anche tra i concetti di malattia e condizione”

Si occupa anche di intersessualità la Federazione Malattie Rare Infantili (FMRI), un tema complesso e difficile da ingabbiare in un perimetro preciso. “L’intersessualità è la presenza in un unico organismo di organi e funzioni appartenenti a entrambi i sessi”, spiega Roberto Lala, endocrinologo, pediatra e presidente della FMRI, che ha sede a Torino e lavora sui territori di Piemonte e Val d’Aosta. “Ma questa è una definizione secca, perché in realtà l’intersessualità è una vera terra di confine non solo tra i due sessi, ma anche tra ciò che chiamiamo malattia e ciò che definiamo condizione. La FMRI si occupa di condizioni patologiche con sguardo olistico, includendo ogni tipo di disagio e sofferenza”.

Nel caso dell’intersessualità, però, la situazione si complica: perché quando una persona di un determinato sesso contiene nel proprio organismo elementi del sesso opposto la cosa può essere molto sfumata o, in alcuni casi, talmente evidente da rendere difficile dire a che sesso appartenga. “Si tratta di un continuum che contempla alterazioni congenite e in molti casi genetiche: infatti, non tutte le alterazioni genetiche sono anche congenite, anche se lo sono nella stragrande maggioranza dei casi”, afferma Lala.

Il punto, secondo il presidente della FMRI, è che molte persone portatrici di ‘situazioni cromosomiche’ rare non considerano la propria una “malattia”, ma piuttosto una “condizione” particolare. “L’intersessualità, insomma, è una zona di confine tra malattia rara e condizione. Infatti – precisa Lala – non tutte le persone intersessuali si sono unite ad alcune delle rivendicazioni portate avanti dalla FMRI, in nome, appunto, di una singolarità che non ritengono patologica”.

Nel campo vastissimo dell’intersessualità ci sono, però, almeno due patologie che convergono nell’insieme di quelle seguite direttamente dalla Federazione Malattie Rare Infantili attraverso le associazioni di riferimento. Si tratta della sindrome di Klinefelter e della sindrome di Turner. La prima nasce da un’anomalia dei cromosomi sessuali, che vede la presenza di un cromosoma in più nei maschi: i bambini nascono con due cromosomi X e un cromosoma Y (XXY). Nella sindrome di Turner, invece, le femmine presentano uno dei cromosomi X parzialmente o completamente assente. Infine c’è una terza patologia, la cui associazione di riferimento non fa capo alla FMRI: è la sindrome di Morris, una condizione che è caratterizzata da un aspetto esteriore femminile ma che vede la mancanza dell’utero e la presenza di cromosoma XY. “E poi esistono circa quaranta mutazioni genetiche che interessano così poche persone da non essere sufficienti a creare un’associazione che le rappresenti”, puntualizza Lala. “Di queste persone la Federazione si occupa singolarmente, seguendo i soggetti caso per caso”.

Sull’intersessualità e la possibilità di una ‘riparazione’ chirurgica è in corso, da alcuni anni, un acceso dibattito. “La possibilità di modificare gli organi genitali chirurgicamente non si è affacciata prima della metà del secolo scorso – racconta il presidente della FMRI – quando all’attenzione del chirurgo si è posto il problema della mancata caratterizzazione sessuale di alcune persone. Poi, al lavoro del chirurgo si è affiancato quello dello psicologo, il cui operato era volto a inserire queste persone nella società in maniera più armonica. Era una società fortemente binaria dal punto di vista sessuale, e altamente paternalistica: due aspetti che, col passare dei decenni, per lo meno nel mondo occidentale, si sono attenuati. Anche gli psicologi, come i chirurghi, hanno pensato che il genere andasse attribuito precocemente, così la cosa più semplice da fare, almeno dal punto di vista chirurgico, è stata quella di trasformare questi individui in femmine”. Peccato che, trattandosi di una condizione intermedia, molte di queste persone non si sono poi trovate completamente a proprio agio nell’identità femminile. “Diversi di questi individui avevano avuto un ‘incontro’ con ormoni maschili in utero e questo incontro aveva fornito, come si usa dire, un imprinting”, prosegue il medico. “Nei decenni successivi, molti di loro si sono ribellati, accusando la società della violenza subita. E questa spinta rivendicativa, proveniente da tanti, anche se non da tutti, ha assunto nel tempo una tale forza da raggiungere le alte istituzioni internazionali”. E ora? “Attualmente, queste situazioni vengono affrontate in maniera molto più fluida, come forse è giusto che sia. Se oggi in Italia nasce un neonato che contiene nel proprio organismo caratteristiche di un altro sesso e se tali tratti si presentano soltanto in maniera lieve, si può attendere che sia la persona stessa a prendere una decisione sulla propria identità sessuale quando sarà adulta. Il problema si pone per le persone che hanno situazioni così eclatanti da non poter essere presentate alla società, tipo un neonato con una condizione talmente intermedia da non poter essere classificato né come maschio né come femmina”. In questi casi, la prima cosa da fare è sospendere l’attribuzione del genere, passando per le varie complicanze burocratiche e, a volte, perfino per i tribunali. Poi bisogna fare una valutazione più approfondita per comprendere, al di là di quel che risulta allo sguardo, quanti e quali organi maschili e femminili possiede quell’individuo. “È un lavoro diagnostico complesso, che può richiedere settimane, e durante questo lasso di tempo la persona rimane in un limbo talmente condizionante che i genitori non sono neanche certi se portarla a casa o meno, perché non sanno se presentarla come maschio o come femmina”.

Ma cosa fa la FMRI per chi non può facilmente definirsi né maschio né femmina?Chi rientra in un ambito patologico categorizzato viene inviato alla rispettiva associazione di riferimento”, dice il pediatra. “Per gli altri cerchiamo di individuare il percorso sanitario e socio-assistenziale più adatto, inviandoli ai centri sanitari più qualificati, attivando percorsi psicologici e anche consulenze esistenziali, attraverso i nostri filosofi”. In più, ogni anno la Federazione porta all’interno delle scuole il progetto “Diverso da chi”, che coinvolge decine di insegnanti e migliaia di studenti e che, attraverso una serie di sessioni di lavoro interattive, consente ai ragazzi di comprendere la diversità in tutte le sue forme ed espressioni, smascherando pregiudizi, stereotipi e false credenze. Questo progetto si occupa anche di intersessualità come una delle tante facce del vasto arcipelago delle minoranze sessuali, oggi definito dall’acronimo LGBTQIA+, con l’obiettivo di accendere i riflettori sulle tante difficoltà che le persone che non aderiscono agli standard del binarismo sessuale incontrano oggi all’interno della società.

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