Qualsiasi evento dannoso (un trauma, una lesione o anche l’infiammazione persistente dovuta a una patologia) lascerebbe una sorta d’impronta indelebile sul DNA di alcune cellule presenti nel sistema nervoso deputate a suscitare una risposta immunitaria. La scoperta è stata fatta attraverso una serie di analisi genetiche sui topi, effettuate da un gruppo di studio guidato dalla ricercatrice Franziska Denk, PhD conseguito all’Università di Oxford.
Quest’impronta sembrerebbe ‘indelebile’, nel senso che persiste anche quando il danno o l’infiammazione che lo hanno provocato sono cessati. Questo rende conto di ciò che avviene quando il dolore, cronicizzandosi, diventa indipendente dalla propria causa nocicettiva e diviene pertanto una malattia autonoma.
Gli studi hanno inoltre chiarito che l’ ‘impronta’ lasciata dal dolore sulle cellule immunitarie del sistema nervoso consiste in una vera e propria modificazione chimica, la quale tuttavia non altera i geni, ma soltanto la loro espressione. Questa descrizione del più intimo meccanismo di cronicizzazione del dolore risulta del tutto coerente con il modello della plasticità del sistema nervoso, con il quale sino ad oggi è stato spiegato il processo di cronicizzazione.
Questa scoperta rappresenta un passo avanti importante per una più compiuta comprensione del meccanismo di cronicizzazione del dolore, e quindi verso la concreta possibilità di intervenire su questo processo attraverso terapie sempre più mirate ed efficaci, in grado non solo di “mettere a tacere” la sofferenza inutile, ma di curarla in senso proprio, cioè di agire sulle sue cause.