Rimini – “Una persona su tre che soffre di malattie reumatiche è costretta ad abbandonare il lavoro”. Così Antonella Celano, presidente di APMARR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare) è intervenuta durante l’evento di apertura del 54° congresso nazionale della Società Italiana di Reumatologia (SIR), svoltosi recentemente a Rimini. Sono dati emersi dall’indagine APMARR – SWG che analizza uno spaccato della situazione vissuta dai malati in Italia e lo 'stato di salute' delle strutture che li accolgono.
Una delle patologie reumatiche più gravi è senza dubbio l'artrite reumatoide, di cui soffrono 300 mila persona: il 75% è donna in età fertile. “È una malattia dai mille volti, che colpisce soprattutto le donne tra i 35 e i 40 anni – ha ribadito Celano - e che impatta in maniera significativa sulla vita sociale e lavorativa di una persona, obbligandola a cambiare radicalmente le proprie abitudini. Tre persone su quattro sono donne, di queste una su tre è costretta a perdere il lavoro”.
Il fattore psicologico non va sottovalutato: tra gli obiettivi dell’indagine c’era quello di misurare l’impatto psicologico della malattia nella vita dei pazienti intervistati. “Ciò che emerge dai dati – ha sottolineato Celano – è che già dal momento di diagnosi si scatenano emozioni contrastanti che vanno dal sollievo allo scoraggiamento, dalla fiducia alla paura. La scarsa conoscenza pregressa della malattia, le conseguenze fisiche sperimentate in prima persona e temute per il futuro rendono la persona a cui viene diagnosticata una malattia reumatica particolarmente fragile in questo momento. Tuttavia, la pratica di consigliare un supporto psicologico è ancora del tutto minoritaria”.
Solo in Lombardia e in Calabria almeno un quinto dei pazienti intervistati ha dichiarato di aver ricevuto il consiglio di un supporto psicologico, ma in tutte le regioni, circa il 20% degli intervistati a cui non è stato proposto dichiara che ne avrebbe comunque avuto bisogno. “Ritengo sia fondamentale accompagnare le persone durante il loro percorso terapeutico - ha continuato Celano - alla scoperta del proprio mondo che sta cambiando radicalmente, non dimenticandosi mai che dietro la cartella clinica c’è una persona che sta soffrendo. Il momento della diagnosi, secondo i dati della ricerca che confermo in base anche alla mia esperienza, si rivela uno spartiacque importante anche dal punto di vista psicologico, un aspetto che spesso viene sottovalutato: infatti, se per il 30% dei casi la diagnosi è stata un sollievo perché ha dato finalmente un nome ai dolori e alle sofferenze che si provavano, nel 32% dei casi ha invece portato ad uno scoraggiamento e ad una perdita di fiducia verso il futuro; infine, il 23% degli intervistati si è trovato in una vera e propria situazione di paura. Il 65% ha visto ridurre in maniera importante le proprie attività sociali”.
“Al dolore, alla rigidità muscolare, alle difficoltà dei movimenti e all’astenia, che rendono l’artrite reumatoide una malattia altamente invalidante e che molti non conoscono, si associa un profondo senso di smarrimento e di paura”, ha concluso Celano. “Essere malati vuol dire dover rinunciare a svolgere le normali attività quotidiane di sempre, vuol dire adeguarsi a nuovi ritmi, cambiare le proprie abitudini e 'tarare' diversamente i propri tempi: prepararsi per uscire al mattino, per esempio, potrebbe richiedere un pochino più di tempo”.