Grazie allo studio CREDENCE potrebbe presto arrivare in Italia una nuova indicazione per il farmaco
La malattia renale diabetica si sviluppa in circa il 40% dei pazienti con diabete ed è la principale causa di nefropatia cronica in tutto il mondo. Sebbene la dialisi possa essere la conseguenza più riconoscibile della patologia, la maggior parte dei pazienti muore prima di iniziare la procedura per eventi cardiovascolari spesso correlati al danno renale, anche se di grado moderato. Questo accade perché le attuali terapie oggi disponibili per la nefroprotezione (ACE-inibitori e sartani) lasciano circa il 50% dei pazienti ad alto rischio residuo di insorgenza e progressione di malattia renale diabetica.
In questo scenario così incerto, potrebbe arrivare a luglio, in Italia, una nuova indicazione per canagliflozin, un inibitore di SGLT2 che è in grado di ridurre significativamente il rischio di progressione della malattia renale, anche in fase dialitica, nonché il rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e l’incidenza di ictus. Gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio 2 (iSGLT2) sono farmaci anti-iperglicemici che, in corso di studi di sicurezza cardiovascolare, hanno dimostrato la capacità di ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari. Lo studio CREDENCE, condotto da V. Perkovic e pubblicato ad aprile 2019 sul The New England Journal of Medicine, ha dimostrato gli effetti positivi renali di canagliflozin in pazienti con diabete di tipo 2 e malattia renale cronica con macroalbuminuria.
Nella sperimentazione sono stati reclutati 4401 pazienti con diabete mellito di tipo 2, malattia renale cronica e filtrato glomerulare e-GFR, stimato con formula CKD-EPI, compreso fra 30 e 90 ml/min per 1,73 m2 e macroalbuminuria, in terapia stabile con ACE-inibitore o sartano, randomizzati a ricevere canagliflozin 100 mg/die o placebo. Lo studio è stato interrotto precocemente per la chiara evidenza di beneficio legato al trattamento per quanto riguardava l’outcome primario; l’incidenza dell’outcome primario composito è stata significativamente più bassa nel gruppo canagliflozin con, in particolare, una riduzione del 40% del rischio di raddoppio dei livelli basali di creatinina e del 32% del rischio di malattia renale terminale. Sulla base di questi risultati, nei pazienti con diabete di tipo 2 e nefropatia, la terapia con il canagliflozin è in grado di ridurre significativamente il rischio di progressione della malattia renale e la malattia renale terminale, nonché il rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e per ictus.
"Avere la possibilità di estendere a questi pazienti la prescrizione di un farmaco che è dotato di proprietà sia nefro- che cardio-protettive è di un’importanza enorme”, sottolinea il Prof. Luca De Nicola. “Basterebbe pensare al fatto che i farmaci attualmente a disposizione per la protezione d’organo (reni e cuore) nel diabete risalgono a più di vent'anni fa. Da allora c'è stato un grave vuoto. Poi, cinque anni fa sono arrivati i risultati degli studi con gli SGLT2 inibitori, come l'EMPAREG, il DECLARE e il CANVAS, mirati alla sicurezza cardiovascolare degli inibitori di SGLT2 nei pazienti diabetici. Nello studiare questi farmaci, infatti, hanno notato non soltanto un effetto ipoglicemizzante, ma anche di protezione cardiaca e renale".
"Ci aspettiamo tutti, come già stabilito dalla FDA negli Stati Uniti, che anche AIFA in Italia consenta il cambio di indicazione - dichiara il Prof. De Nicola - così che si possa prescrivere il canagliflozin 100 anche in persone che hanno una ridotta funzione renale. Questo si aggiungerebbe alla terapia con ACE inibitori e sartani, che restano i nostri farmaci di riferimento per la protezione del paziente con malattia renale. Il plusvalore di questo nuovo farmaco è la sua sicurezza: se ACE inibitori e sartani, infatti, possono provocare anche insufficienza renale acuta e iperpotassiemia, determinando la sospensione del farmaco, gli inibitori del SGLT-2, invece, rallentano la malattia renale in sicurezza".
Di base, la progressione della malattia renale si associa a una perdita di qualità di vita: il paziente non si sente bene, la pressione tende a salire, diventa anemico e debole. Potrebbe anche arrivare alla dialisi, trattamento oggi effettuato in circa 45mila italiani. Questi pazienti si devono essere trattati in ospedale alterni tre volte alla settimana per 4 ore a seduta. "Una vita che va avanti così fino a quando non si può ottenere un trapianto renale, ma si tratta di un’ipotesi che può anche richiedere 5-6 anni per avverarsi. Alto, quindi, anche il rischio di mortalità”, conclude De Nicola. “Importanti, infine, i risvolti economici: la malattia renale, in fatto di farmaci, ricoveri e ospedalizzazioni, è molto costosa. E se arriva allo stato di dialisi, il paziente costa al Servizio Sanitario Nazionale circa 40-50mila euro l'anno. Ridurre la progressione della malattia, quindi, significa non solo migliorare lo stile di vita del paziente e ridurne il rischio di mortalità, ma anche aiutare l'intero SSN".
"L’emergenza COVID-19 ha concentrato tutte le attenzioni e ogni sforzo sulla pandemia, ma chi come noi opera da sempre nel settore medico-scientifico non ha perso di vista altre patologie croniche di estrema gravità come il diabete”, sottolinea Sabrina Cremascoli, General Manager Mundipharma Pharmaceuticals Italia. “La lotta al diabete e alle sue complicanze rappresenta un punto cruciale per la salute globale, sia per il numero di soggetti coinvolti, sia per le conseguenze che può provocare. Anche questi mesi hanno evidenziato la fragilità dei pazienti diabetici, tra le categorie a più alto rischio di mortalità durante l’emergenza COVID-19; in tale contesto, il nostro impegno continua ad essere quello di migliorare la qualità di vita dei pazienti con sempre nuove soluzioni che permettano altresì la sostenibilità del sistema sanitario”.