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Sono il dolore osteoarticolare e le difficoltà nella gestione quotidiana della malattia le maggiori problematiche dei pazienti con lupus emerse nella survey online promossa dall’Associazione pazienti LES nel mese di aprile, in collaborazione con GSK, proprio per testare lo stato dell’arte della quotidianità delle persone malate e i loro bisogni primari. Tra questi ultimi sono stati evidenziati con forza la necessità di un sostegno psicologico, l’inserimento dello psicologo nelle equipe mediche, una maggior dialogo tra i diversi curanti sul modello integrato delle Lupus Clinic e un maggiore e puntuale riconoscimento dell’invalidità.

I risultati della survey
Alla domande hanno risposto 550 persone, di tutte le regioni, nel 95% dei casi donne, di età compresa tra i 14 e gli 82 anni, con una media di 33 anni circa: il 19% ne ha meno di 34, 61% tra 34 e 64, 20% oltre 64. Riguardo alla regione di appartenenza, la maggioranza abita in Lombardia, seguita da Lazio, Piemonte, Sicilia, Liguria, Emilia-Romagna e Veneto.

L’età alla diagnosi è in media di circa 29 anni, ma ci sono segnalazioni anche di diagnosi precocissime, avvenute a 3-4 anni di età e diagnosi estremamente tardive, oltre i 60 anni: l’84%  è stato diagnosticato in un’età compresa tra i 18 e i 42 anni.  In tutti i casi, il dato rilevante appare quello del tempo intercorso tra primi sintomi e la diagnosi accertata di LES: nel 56% entro un anno (35% addirittura entro i primi sei mesi). Cumulativamente, nel 72% la diagnosi è stata effettuata entro due anni. Nel campione si rivela un 17% di malati che è stato diagnosticato dopo 20 anni dai primi sintomi. Questi dati, se da una parte confortano, perché segnalano nell’ultimo decennio una maggior accuratezza e tempestività nel riconoscere la malattia, dall’altro evidenziano come siano ancora troppi i casi di pazienti con una storia di malattia molto lunga ma un tardivo riconoscimento della stessa.

Di tutti questi pazienti, almeno il 40% dichiara di soffrire di altre patologie autoimmuni associate, alcuni addirittura fino a 6.  Quella maggiormente rappresentata è la Sindrome da anticorpi antifosfolipidi, seguita da artrite reumatoide, sindrome di Sijogren, e tiroidite autoimmune.  Molti pazienti menzionano una ulteriore diagnosi di fibromialgia.

Un dato importante riguarda il numero di medici specialisti dai quali i pazienti sono attualmente seguiti: fino a dieci. La figura ovviamente prevalente è quella del reumatologo (64%), ma risulta rilevante anche quella del medico di base, dal quale dichiara di farsi seguire almeno il 57%. I pazienti della survey si rivolgono in prevalenza a strutture ospedaliere specialistiche (55%), e nel nostro campione il 21% alle Lupus Clinic. Il 12% ad uno specialista.

Tempi per raggiungere i luoghi di cura: solo il 5% percorre meno di 5 chilometri per arrivare dallo specialista; il 50% entro i 20, il 35% tra i 20 e i 100, il 13% probabilmente si sposta di regione; l’1% va all’estero.

La maggioranza dei pazienti dichiara di effettuare visite di controllo regolari, programmate, e di non attendere condizioni critiche: il 28% ogni 2-3 mesi, il 43% tra i 3 e i 7 mesi; il 13% ha necessità di visite molto assidue; il 16% va dallo specialista di riferimento solo una volta all’anno o meno. Uno su due non incontra difficoltà a programmare le visite, che vuol dire che metà dei pazienti vi incorre.

La qualità della comunicazione con i medici  è valutata come soddisfacente da più del 70%.  

La dimensione del dolore nel LES è stata esplorata attraverso più domande. L’impatto complessivo è sicuramente elevatissimo. Il dolore osteoarticolare è il più rappresentato (83%), sia come sintomo principale della patologia, sia come effetto collaterale riportato dei farmaci assunti. Il 73% dichiara di soffrire di manifestazioni dolorose una/più volte a settimana o cronicamente (68% da 100 a più giorni in un anno); le manifestazioni dolorose nel complesso spaziano dalle sciatalgie, alla cefalea, a mialgie a vari distretti corporei, agli edemi, alle artriti etc. Dai risultati ottenuti si può affermare che il dolore agli arti e in particolare alle mani e ai piedi appare il più rappresentato, con la massima frequenza delle risposte in una mappa di localizzazione del dolore che includeva tutto il corpo.  

Malgrado ciò, soltanto il 54% utilizza, più o meno frequentemente, farmaci per il controllo del dolore. Molti medici sarebbero poco inclini a soddisfare la richiesta dei pazienti di prendere in considerazione l’impatto del loro dolore osteo-articolare. Se più dell’80% dei pazienti dichiara di soffrire di dolori da quando ha il LES, questo potrebbe essere un dato che invita a considerare sottostimata la componente del dolore cronico nel Lupus.
È comprensibile quindi che tra le principali difficoltà nella gestione quotidiana della malattia vi sia la componente ‘paralizzante’, sicuramente inabilitante, di crisi dolorose più o meno frequenti e pesanti.

L’impatto sicuramente più forte è sulla vita lavorativa. Il frequente mancato riconoscimento di invalidità, del diritto alla legge 104 per riuscire a curarsi adeguatamente, il pregiudizio sociale ancora vivo verso una malattia giudicata come “immaginaria”, e la necessità, percepita con angoscia, di mantenere il più possibile una condizione di efficienza, fanno sì che il livello di stress aggiuntivo si mantenga elevatissimo, contribuendo a peggiorare le condizioni cliniche.
Il 64% ottiene invalidità per patologia con percentuali variabili di punti da 35 a 80, e in un numero molto ridotto di casi 100, con una media di invalidità pari a 72.75 ; il resto, il 36%, o non ne ha ancora fatto domanda oppure ha difficoltà ad ottenerla. In tutti i casi per i quali sono disponibili dati descrittivi, i pazienti – o per meglio dire le pazienti – incontrano difficoltà a conciliare malattia, lavoro, affetti, famiglia e diritto al riconoscimento di una patologia cronica e invalidante, in particolare proprio presso le commissioni di invalidità.

Lo stesso diritto alla salute viene così messo in crisi: le pazienti lavoratrici incontrano particolari difficoltà per l’effetto combinato della scarsa opportunità di appoggio a strutture di cura dedicate e a percorsi facilitati, dell’esclusione di alcune categorie di farmaci nelle tabelle di esenzione, di ostacoli economici e costrizioni lavorative, che spesso riducono l’accesso a cure adeguate.

In merito ai bisogni, la richiesta di sostegno psicologico è evidente. Alla domanda specifica, il  32% risponda ‘talvolta’ e un altro 21% da ‘spesso’ a ‘sempre’. Nelle descrizioni finali dei bisogni insoddisfatti molti pazienti indicano come fondamentale l’inserimento dello psicologo  nelle èquipe curanti.

Altro importante bisogno segnalato è quello di poter essere adeguatamente seguiti in diverse sedi sanitarie, dato il carattere interdisciplinare delle cure necessarie per ciascun caso. Un bisogno fortemente espresso dai pazienti è che “i medici stessi comunichino tra di loro in modo più efficace e strutturato”.  Sono pochissimi i centri che adottano il modello integrato della Lupus Clinic, dove il paziente è facilitato nel suo percorso di cura: invio diretto agli specialisti, prenotazioni delle visite etc.

Più specificamente, nella survey alcune domande riguardavano la comunicazione medico paziente e la sua qualità, che risulta uno dei dati più rilevanti, anche dai testi di commento aggiunti al termine del questionario.

 “Sempre più ricerche in campo sanitario accentuano la crucialità - per la cosiddetta compliance e gli stessi risultati delle cure - del modo in cui il clinico è in grado di approcciare i suoi pazienti e sa lasciare loro lo spazio e il tempo di comunicare le proprie sensazioni,:  l’esperienza di malattia in tutta la sua complessità” – commenta Augusta Canzona, presidente dell’Associazione LES.  

“Con l’auto dei nostri psicologi ricercatori, che hanno elaborato il questionario on-line – prosegue la presidente -  abbiamo cercato di esplorare insieme ai partecipanti alla prima SURVEY LES lo stato delle cose riguardo la nostra percezione degli impedimenti più gravi apportati non soltanto dalla patologia in sé, quanto dall’attuale modello di cura e assistenza, che evidentemente non permette tempi sufficienti e modalità più rispettose delle nostre complesse esigenze.  Al di là dei fattori organizzativi, dell’esistenza di percorsi e centri di cura più consoni, risalta dalle risposte raccolte quanto sia importante l’ascolto accordato al paziente da parte del curante”.

Non c’è migliore esperto della malattia del malato stesso: questa constatazione proviene dai migliori contributi scientifici di analisi della relazione clinica.  Nella medicina moderna il rapporto tra medico e paziente è da considerare più opportunamente come una interrelazione a due vie nella quale medico e paziente contribuiscono in pari misura ad esplorare insieme le possibilità di trattamento -  anche al di là dei protocolli Evidence Based.

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