Secondo gli esperti, l’approccio farmacologico dovrebbe essere limitato a casi specifici
I medici prescrivono ogni anno milioni di farmaci per sedare il comportamento delle persone con malattia di Alzheimer e altre forme di demenza. Ma gli approcci non farmacologici, in realtà, funzionano meglio, e sono meno rischiosi.
Come sostengono i ricercatori in uno studio appena pubblicato sul British Medical Journal, questo approccio dovrebbe essere la prima scelta per il trattamento dei sintomi comuni nei pazienti con demenza, come irritabilità, agitazione, depressione, ansia, disturbi del sonno, aggressività e apatia.
FARMACI O FORMAZIONE?
Tra gli approcci non farmacologici, quelli che puntano sulla formazione dei caregiver (coniugi, figli adulti, personale in case di cura o residenze assistite) per mettere in atto interventi comportamentali e ambientali, hanno avuto un riscontro migliore. I ricercatori della University of Michigan Medical School e della Johns Hopkins University hanno esaminato due decenni di letteratura medica per giungere a queste conclusioni. Gli studiosi, inoltre, hanno proposto un quadro di riferimento rivolto ai medici e agli operatori sanitari chiamato DICE (acronimo per “Descrivere, Indagare, Creare e Esaminare”).
“Gli approcci non farmacologici per i problemi di comportamento, spesso osservati nella demenza, si sono dimostrati più efficaci rispetto al trattamento con antipsicotici, e di gran lunga migliori rispetto ad altre classi di farmaci”, ha spiegato alla rivista online Science Daily il primo autore Helen Kales, responsabile del Programma per l’invecchiamento positivo presso l’Università del Michigan. “Il problema è che il nostro sistema sanitario non ha incentivato la formazione in alternativa al consumo di farmaci, e i rimborsi per i metodi basati sui caregiver sono scarsi, se non inesistenti”.
Negli Stati Uniti, a un terzo degli anziani con demenza ospiti a lungo termine in casa di cura è stato prescritto un farmaco antipsicotico, così come al 14 per cento dei pazienti fuori dalle strutture assistite. Helen Kales, tuttavia, avverte che penalizzare i medici per la prescrizione di farmaci antipsicotici potrebbe essere controproducente, se gli approcci non farmacologici basati sui caregiver non verranno incoraggiati.
Ma gli autori avvertono: “I farmaci hanno ancora il loro posto, soprattutto per la gestione di situazioni acute in cui la sicurezza della persona con demenza, chi la assiste o i familiari potrebbero essere a rischio. Ad esempio, gli antidepressivi hanno un senso per i pazienti affetti da demenza con depressione grave, e gli antipsicotici devono essere usati quando i pazienti presentano psicosi o aggressività tali da danneggiare se stessi o gli altri. Queste terapie, però, devono essere strettamente monitorate e concludersi nel più breve tempo possibile”.
I CONSIGLI E LA FORMULA “DICE”
Gli autori forniscono dei consigli per prevenire o attenuare i possibili fattori scatenanti dei sintomi comuni come le domande ripetitive, l’irrequietezza o lo shadowing (il comportamento della persona con demenza che tenta di tenere a vista il suo caregiver in ogni momento, seguendolo come farebbe un bambino piccolo con il genitore).
Ad esempio, sgombrare l’ambiente, utilizzare la musica o semplici attività che contribuiscono a coinvolgere il paziente, o utilizzare una voce calma e un atteggiamento non conflittuale, potrebbe contribuire notevolmente a ridurre i sintomi comportamentali. Inoltre, i caregiver dovrebbero prendersi delle pause dalle loro responsabilità, per evitare che l’eccessivo stress li porti a scaricare le loro frustrazioni sui pazienti.
“Le strategie basate sul comportamento possono richiedere più tempo rispetto alla prescrizione di farmaci”, riconosce la dottoressa Kales. “Ma se si insegnano a una persona i principi alla base del DICE, l’approccio diventa più naturale e parte della propria routine”.
I componenti dell’approccio DICE sono:
• D: Descrivere – Chiedere al caregiver, e se possibile alla persona con demenza, di descrivere il “chi, cosa, quando e dove” delle situazioni in cui si verificano comportamenti problematici e il loro contesto fisico e sociale. I caregiver potrebbero prendere appunti sulle situazioni che hanno portato a problemi di comportamento, per condividerli con gli operatori sanitari durante le visite.
• I: Indagare – Fare in modo che gli operatori sanitari controllino tutti gli aspetti della salute della persona: i sintomi di demenza, i farmaci attuali e le abitudini di sonno, che potrebbero combinarsi con fattori fisici, sociali o legati al caregiver e generare il comportamento.
• C: Creare – Il caregiver e gli operatori sanitari, lavorando insieme, sviluppano un piano per prevenire e rispondere ai problemi comportamentali del paziente, valorizzando le sue attività l’ambiente in cui vive. Gli operatori sanitari formano e sostengono il caregiver.
• E: Esaminare – Dare agli operatori sanitari la responsabilità di valutare se il piano è stato seguito e come sta funzionando, o di decidere eventuali modifiche da apportare al piano terapeutico.