L'Ospedale Burlo Garofalo e l'Univeristà di Trieste in prima linea contro l'HIV
Un nuovo vaccino italo-brasiliano è già in fase II di sperimentazione. Si tratta del progetto di Sergio Crovella, ricercatore del Burlo Garofalo e dell'Università di Trieste, che si occupa di HIV da dieci anni.
Dividendosi fra Trieste, San Paolo e Recife dove, con la collega italiana Alessandra Pontillo, guida un gruppo di giovani ricercatori, Crovella ha realizzato un immunovaccino personalizzato a base di cellule dendritiche che è in fase due di sperimentazione: viene cioè somministrato a un ridotto numero di pazienti, per determinarne la sicurezza a breve termine, gli effetti collaterali e l'efficacia generale. Le cellule dendritiche sono elementi chiave dell’immunità: catturano gli antigeni dell’aggressore e li mostrano ai linfociti T, innescando reazioni che attivano il sistema immunitario.
«Quando le cellule dendritiche di una persona sana vedono un aggressore – ha spiegato Crovella – nel loro interno si forma un aggregato di proteine chiamato “inflammasoma Nalp3”. Si tratta di una specie di prima linea, sia di difesa che di maturazione delle cellule dendritiche: innesca reazioni a cascata che svegliano le difese immunitarie».
Nei malati di Aids, l’inflammasoma non si attiva perché è in condizione di perenne semi-attività: è come se non vedesse l’aggressore (l’Hiv). Da qui l’idea di Crovella e Pontillo: «Ci siamo chiesti se l’attivazione dell’inflammasoma poteva essere sfruttata come prima difesa contro l’Hiv. E abbiamo allestito un immunovaccino usando le cellule dendritiche del singolo paziente (il cui inflammasoma non funziona) e il suo stesso virus dopo averlo inattivato, per svegliare quelle cellule dendritiche immature che potenzialmente sono ancora in grado di rispondere all’aggressore. Abbiamo fatto altrettanto con le cellule degli individui sani, usando gli stessi ceppi virali usati per stimolare le cellule dendritiche dei pazienti».
I ricercatori hanno isolato da 20 individui sani e 20 soggetti affetti da Hiv i precursori delle cellule dendritiche non ancora mature in quanto non allertate dal virus. Tali cellule sono state fatte crescere in coltura e sono state esposte a particelle virali rese inoffensive, per poter così innescare la reazione. In questo modo le cellule dendritiche sono state indotte a riconoscere il virus HIV. Nel caso dei malati le cellule sono state indotte al riconoscimento di quello specifico ceppo di virus Hiv, nel caso dei volontari sani è stato utilizzato un virus generico reso innocuo. Infine le cellule sono state reintrodotte nell'organismo dei pazienti, e ne sono state valutate le reazioni.
Nei soggetti sani le cellule dendritiche hanno attivato l'inflammasoma, innescando una prima risposta infiammatoria, preparatoria a quella immunitaria. Nel 50 per cento dei malati, l’immunovaccino ha ridotto la carica virale fino a livelli non rilevabili. Non sono stati rilevati eventi avversi durante la sperimentazione.
Sono ancora molti gli aspetti di questo vaccino che devono essere definiti e studiati, ma la scoperta è di Crovella è di indubbio valore scientifico e clinico.
L'articolo originale è di Cristina Serra, pubblicato su Il Piccolo del 14 febbraio 2012.