Secondo uno studio del San Raffaele di Milano, la sopravvivenza globale si è attestata al 65% a 100 giorni dalla ricaduta e il 92% dei pazienti ha avuto una risposta ematologica dopo il trapianto
MILANO – Le ricadute rappresentano la causa più importante di fallimento del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche per la leucemia mieloide acuta FLT3-ITD-positiva, e le terapie disponibili sono in gran parte insoddisfacenti. In uno studio pubblicato sulla rivista European Journal of Haematology, un gruppo di ricercatori del San Raffaele di Milano ha raccolto in modo retrospettivo i dati sull'uso off-label del sorafenib, un inibitore della tirosin-chinasi, da solo o in associazione con agenti ipometilanti e immunoterapia adottiva, in 13 pazienti con recidive post-trapianto. La risposta ematologica è stata documentata in 12 dei 13 pazienti (il 92%), e cinque dei 13 (il 38%) hanno raggiunto una remissione completa del midollo osseo.
Il trattamento è stato nel complesso gestibile in ambito ambulatoriale, anche se tutti i pazienti hanno manifestato significativi eventi avversi, in particolare grave citopenia (che in cinque pazienti ha richiesto una dose aggiuntiva di cellule staminali del donatore) e la tipica sindrome mano-piede. Nessuno dei pazienti ha sviluppato la malattia del trapianto contro l'ospite (“graft versus host disease”) in seguito al solo sorafenib, mentre questa complicanza è stata spesso osservata quando il farmaco è stato somministrato in associazione a infusioni di cellule T del donatore.
All'ultimo follow-up, sei pazienti sono vivi e in remissione, e quattro potrebbero dover affrontare un secondo trapianto allogenico: la sopravvivenza globale si attesta quindi al 65% a 100 giorni dalla ricaduta. Nel loro insieme, questi dati suggeriscono che il sorafenib possa rappresentare una valida opzione di trattamento per i pazienti FLT3-ITD-positivi con recidive post-trapianto, gestibili anche in combinazione con altre strategie terapeutiche.