La patologia colpisce principalmente le donne in giovane età e attacca muscoli e organi, con una probabilità di recidiva superiore al 70%. In Italia è nata la prima associazione di pazienti
“Avevo otto anni la sera in cui, al rientro dalla lezione di nuoto, mia madre notò che avevo un piccolo bozzo sulla schiena”: inizia così il racconto di Enrica, 39 anni, che da più di trenta si batte contro il tumore desmoide, una neoplasia definita benigna sui libri di medicina ma che, in realtà, di benigno ha ben poco. “Mi portarono in pediatria, all'Ospedale Gemelli, dove la visita a cui fui sottoposta si trasformò in un consulto di medici preoccupati e dubbiosi, perché quella massa dura e liscia alla palpazione era di difficile interpretazione. I medici dovevano capire cosa fosse e suggerirono di eseguire una biopsia. Fui immediatamente ricoverata ed entro ventiquattr'ore ero già sotto i ferri del chirurgo. L’esito della biopsia mi portò per la prima volta a contatto con questa forma tumorale”. Enrica, infatti, è stata il primo caso di tumore desmoide operato all’Ospedale Gemelli di Roma, e già questo è sufficiente a far comprendere quanto rara sia la malattia.
“Il fatto che fosse classificato come benigno all'apparenza fu una notizia positiva: i medici procedettero alla rimozione e mi suggerirono un programma di monitoraggio ecografico proprio perché questo genere di tumore si associa ad alti tassi di ricorrenza”, continua Enrica. “Infatti, dopo appena un anno e mezzo, si ripresentò nella stessa sede, all'altezza della regione scapolare. La procedura si ripeté e io tornai in mano al chirurgo. Solo che, questa volta, la protuberanza era leggermente più grande”. La ragazza ha dovuto affrontare i continui ritorni di una forma tumorale caratterizzata da un alto potere recidivante e nota per essere piuttosto aggressiva. “Un chirurgo ricostruttivo esperto in oncologia mi disse che avrei potuto immaginare questo tumore come uno di quei microrganismi dotati di un corpo centrale e di lunghe ramificazioni che si aggrappano a tutto ciò che trovano. Il tumore desmoide infiltra muscoli e ossa in profondità e, letteralmente, li stritola”, spiega la donna. “Fu proprio col terzo intervento che iniziò la fase demolitiva e mi fu asportata gran parte dei muscoli”. Enrica continuava le visite di controllo, sostituendo all'ecografia la risonanza magnetica, lo strumento diagnostico per eccellenza, da eseguire con cadenza trimestrale entro il primo anno dalla scoperta del tumore, ogni 6 mesi a partire dal secondo anno e, infine, annualmente dopo il quarto anno dalla diagnosi.
“A 15 anni, anticipai la risonanza magnetica di qualche mese rispetto alla scadenza, spinta dalle preoccupazioni di mia madre, che si era accorta che avevo perso, in parte, il movimento dell’arto superiore sinistro” prosegue Enrica. “Finii per scoprire che, nel giro di sei mesi dal precedente controllo, si era sviluppata una massa di 17 cm che aveva infiltrato muscoli e ossa, intaccando il deltoide e la cassa toracica e giungendo a lambire il polmone. Il tasso di crescita era stato rapidissimo”. All'età in cui i ragazzi e le ragazze affrontano al massimo il fiorire dell’acme giovanile, Enrica dovette fare i conti con un tumore che non accennava a lasciarla in pace. Lei e la sua famiglia iniziarono così un 'tour' di cliniche e reparti specializzati, non solo in Italia ma anche all'estero, in Francia e Svizzera, per avere più di un consulto su come procedere. L’intervento chirurgico previsto sarebbe stato estremamente demolitivo: c’era il rischio di perdere completamente l’uso del braccio. Una possibile alternativa avrebbe potuto essere un percorso di chemioterapia di due anni, ma il tumore desmoide ha un comportamento altamente incerto, per cui la probabilità che il trattamento funzioni varia da un individuo all'altro. Allo stesso modo, anche l’ormonoterapia non è una soluzione univoca, perché il desmoide è una neoplasia ormono-sensibile. “A Bologna, il prof. Campanacci, un luminare della medicina, mi propose di sottopormi ad intervento chirurgico e, successivamente, a cicli di radioterapia. Ma l’operazione doveva essere eseguita senza perdere tempo: la preoccupazione era rivolta al polmone. Purtroppo, nelle liste di attesa il mio nome non poteva figurare tra i primi, perché il tumore continuava ad essere considerato benigno. Perciò mi sottoposi all'operazione privatamente e i miei genitori sborsarono più di venti milioni delle vecchie lire per l’intera procedura. Ancora ricordo il medico che, il giorno prima dell’intervento, entrò in camera mia per descrivermi il quadro della situazione. Fu la prima volta in cui mi sentii trattare come una persona adulta e alla fine di quella conversazione entrai in bagno e rimasi a lungo a fissare la mia spalla nuda, conscia che non l’avrei più rivista così com'era”. In effetti, l’intervento, della durata di oltre 10 ore, fu estremamente demolitivo: la scapola di Enrica fu asportata per quasi tre quarti della sua grandezza. La donna fu ingessata e dovette rimanere immobile per circa 30 giorni, dopodiché iniziò un percorso di fisioterapia riabilitativa della durata di due anni, al termine dei quali le fu possibile tornare a effettuare semplici gesti come quello di sollevare un bicchiere e appoggiarlo sopra un tavolo. Uno dei timori dei medici era di riuscire a preservare l’uso del braccio, cosa che fortunatamente fu possibile. Ancor più importante, il polmone non risultò intaccato dalla neoplasia. Nei mesi successivi, Enrica si sottopose a ripetute visite di controllo, che si alternarono a risonanze magnetiche e continuarono per un periodo di sette anni. “A un paio di anni dall'intervento, ebbi una profonda e devastante crisi psicologica”, ricorda la donna. “Uno degli strascichi più pesanti di questo genere di interventi è il dolore. Un dolore neuropatico, la forma più atroce che esista. L’unico modo per gestirlo è ricorrere alla terapia farmacologica, generalmente a base di psicofarmaci, epilettici, oppiacei, stupefacenti leggeri. La mia vita oscillava tra la capacità e la volontà di tollerare il dolore e la sensazione di intontimento suscitata dai farmaci. Sprofondai in un baratro oscuro, che sembrava senza fine”.
Ritornare alla vita fu difficile e richiese tempo e sacrifici. Oggi Enrica svolge la professione di formatrice e coach per dirigenti d’azienda e ragazzi e ragazze che stanno entrando nel mondo del lavoro. È una persona dinamica e piena di energia, che ha scelto di destinare il suo tempo e le sue risorse alla creazione di un’associazione interamente dedicata alla persone che, come lei, stanno combattendo con il tumore desmoide. Così è nata la Desmoid Foundation - Associazione Italiana Tumore Desmoide Onlus, la prima in Italia che riunisce le esperienze di persone come Enrica e Giulia, donne giovani e belle che lottano contro un tumore che le costringe a ripetute operazioni chirurgiche. “Nelle forme ereditarie, correlate alla sindrome di Gardner, la malattia può trasmettersi ai figli”, spiega Enrica. “Inoltre, esiste il rischio che con la gravidanza il tumore possa ripresentarsi anche in chi lo ha superato. Non è facile per una donna con un trascorso di tumore desmoide scegliere di diventare madre. Questa associazione nasce dalla mia rabbia che si è trasformata in energia e nel desiderio di essere d’aiuto agli altri, perché quando penso a quella bambina di otto anni con un bozzo sulla schiena vorrei solo poter dire a lei e alla sua famiglia che quel dolore, quell'infanzia mai vissuta e il buio di quei lunghi anni, alla fine hanno trovato un senso in questa Associazione. Il nostro non è davvero un tumore benigno. È feroce e ricorrente, ma soprattutto difficile da diagnosticare e da trattare. I medici devono acquisire consapevolezza di che cosa sia il tumore desmoide, per non confonderlo con un’ernia, uno strappo muscolare o un sarcoma. Fare diagnosi differenziale e nei tempi giusti è fondamentale. In questo, noi pazienti possiamo essere di supporto. Ecco da dove nasce la nostra associazione”.
Maggiori informazioni sul tumore desmoide sono disponibili su Orphanet.