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 Davide Melisi

L’analisi genetica del tipo di tumore permette di individuare nuove terapie personalizzate. Il prof. Davide Melisi (Verona): “È in arrivo un farmaco che può prolungare la sopravvivenza”

Colangiocarcinoma: più che il nome di un tumore raro sembra uno scioglilingua, eppure questo termine definisce una condizione clinica che riguarda la colecisti e le vie biliari. Sotto il cappello del colangiocarcinoma, infatti, si tende a raggruppare tutti i tumori che si sviluppano all’interno e all’esterno del fegato e che riguardano il sistema dei dotti biliari, nei quali circola la bile necessaria per la digestione e l’assorbimento dei grassi. Purtroppo però, riunire molti elementi in un unico insieme a volte non semplifica le cose, bensì produce confusione.

Lo conferma Davide Melisi, Professore di Oncologia Medica presso l’Università degli Studi di Verona e direttore dell’Unità di Ricerca di Oncologia Clinica Molecolare dell’Apparato Digerente presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “G.B. Rossi” di Verona, che spiega come sia importante operare una distinzione del tipo di tumore delle vie biliari per approcciarsi al giusto tipo di trattamento. “Dobbiamo contrastare l’idea che tutti i tumori delle vie biliari siano ricondotti a un unico tipo di cancro”, precisa Melisi. “Infatti, alcuni di essi si sviluppano a danno dei dotti presenti all’interno del fegato e sono detti intra-epatici, altri interessano il coledoco o la colecisti e sono detti extra-epatici, e poi ci sono quelli peri-iliari. Tutti questi erano considerati come un’unica entità eziologica, spesso vicina a quella dei tumori del pancreas o del duodeno, e venivano trattati allo stesso modo, il più delle volte con la chemioterapia. La ricerca, invece, ha permesso di distinguerli e classificarli in base alle sedi anatomiche di insorgenza e alle peculiarità biologiche che li contraddistinguono, poiché, pur derivando da cellule simili presenti nel fegato e nella colecisti, essi prendono origine da mutazioni genetiche totalmente diverse. Dal punto di vista della terapia, tutto ciò li rende suscettibili a trattamenti basati su nuovi farmaci a bersaglio molecolare”.

Il report “I numeri del cancro in Italia”, a cura dell’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) e dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), ha stimato, nel 2020, un totale di 5.400 nuovi casi di tumore della colecisti e delle vie biliari. Queste neoplasie sono più frequenti nelle donne (3.000 nuovi casi stimati in Italia nel 2020) che negli uomini (2.400 nuovi casi) e l’incidenza aumenta con l’avanzare dell’età: è quasi nulla prima dei 40 anni e raggiunge i valori massimi oltre i 65 anni.

Le cause del colangiocarcinoma sono diverse”, spiega il prof. Melisi. “Le ragioni più frequenti sono legate agli stili di vita (obesità, fumo, consumo di alcol), ma ci sono anche dei fattori di rischio connessi a malattie del fegato e delle vie biliari che causano infiammazione e fibrosi, come la colangite sclerosante primitiva e le epatiti virali B e C”.

I sintomi del colangiocarcinoma sono eterogenei e si manifestano in genere solo negli stadi avanzati della malattia. Nei tumori extraepatici il sintomo principale è l'ittero, mentre quelli intraepatici sono più subdoli e perciò vengono solitamente riconosciuti in uno stadio più avanzato: i pazienti, infatti, possono essere totalmente asintomatici o presentare solamente dolore addominale, perdita di appetito o perdita di peso. “Non vengono attuate delle campagne di screening – sottolinea Melisi – quindi ciò che noi medici possiamo fare è monitorare i pazienti che hanno una predisposizione o una delle malattie del fegato citate precedentemente: per gli altri, purtroppo, la diagnosi è complicata”.

Per il colangiocarcinoma, la chirurgia, con la rimozione completa del tumore, è oggi il principale trattamento, ma solo il 20-40% delle neoplasie risulta resecabile al momento della diagnosi; inoltre, molto spesso, il tumore recidiva. Nei pazienti che non possono essere operati, o nei quali la malattia si è ripresentata, il trattamento di prima scelta è rappresentato dalla chemioterapia, che però, come è noto, è tossica e comporta pesanti effetti collaterali. Ma qualcosa sta cambiando. “Pensiamo al tumore come a una porta chiusa”, chiarisce il prof. Melisi. “Utilizzare la chemioterapia è come lanciare una bomba per farla saltare in aria. Secondo un approccio totalmente nuovo, invece, dobbiamo chiederci perché la porta è chiusa, esaminare la serratura (ovvero la mutazione genetica) e trovare la chiave adatta per aprirla (cioè il farmaco). Oggi la biologia molecolare ci permette di identificare pazienti con specifiche mutazioni: siamo entrati in una nuova fase, quella dell'oncologia di precisione”.

La genetica, dunque, permette di fare luce all’interno di quest’ampia famiglia di tumori della colecisti e delle vie biliari. “La prognosi è legata all’aggressività della malattia ma bisogna far capire al paziente quanto essa possa dipendere anche dal trattamento”, prosegue Melisi. “Certe mutazioni genetiche, specificamente legate a un tumore o un altro, possono indirizzare verso un trattamento personalizzato che cambia l’aspettativa di vita del paziente”. In questi casi, infatti, l’analisi anatomo-patologica del tumore, la stadiazione e lo studio del grado di differenziazione o di proliferazione linfonodale devono accompagnarsi alla ricerca di mutazioni, eseguita anche tramite tecniche di Next Generation Sequencing (NGS). “La profilazione genomica cambia radicalmente l’approccio terapeutico”, aggiunge Melisi. “Nella metà dei pazienti ci permette di inquadrare con precisione il tumore, suggerendo l’uso di farmaci immunoterapici o a bersaglio molecolare con minore tossicità e maggior efficacia”.

Vi sono mutazioni, come l’amplificazione del gene HER2, che giocano una parte importante nei tumori della mammella e dello stomaco e che costituiscono anche un tratto distintivo dei tumori della colecisti. Inoltre, una buona parte dei tumori delle vie biliari extra-epatiche porta una mutazione nel gene KRAS, ma un ruolo decisivo è assunto dalle mutazioni nei geni IDH1 e FGFR2, come ben spiegato in un lavoro, pubblicato sulla rivista Cancer Discovery, che fra gli autori include proprio il prof. Melisi. “La metà dei pazienti con tumore delle vie biliari intra-epatiche riporta una mutazione nel gene IDH1 per cui esiste uno specifico farmaco a bersaglio molecolare, ivosidenib”, precisa l’oncologo veronese. “Tuttavia, i principali indiziati nei tumori delle vie biliari sono i riarrangiamenti di FGFR2 con altri geni, alterazioni che richiedono un sequenziamento esteso per identificare tutti i geni di fusione coinvolti. Abbiamo osservato che ricorrendo a farmaci inibitori selettivi del dominio tirosin-chinasico di FGFR2 si ottengono tassi di risposte molto alti e sopravvivenze molto lunghe. Ad esempio, i pazienti che non avevano mutazioni di FGFR2 e sono stati trattati con la chemioterapia mostravano una sopravvivenza mediana di 3 mesi, mentre in quelli con la mutazione trattati con il farmaco specifico, pemigatinib, essa aumentava considerevolmente”. Dopo aver ricevuto il parere positivo del Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), pemigatinib è stato recentemente approvato dalla Commissione Europea. “Per i pazienti – sottolinea Melisi – questo farmaco rappresenta uno spiraglio di speranza, perché nella pratica clinica ha dimostrato di poter prolungare in maniera considerevole la loro aspettativa di vita”.

Gran parte delle persone colpite da colangiocarcinoma intra-epatico raggiunge la diagnosi solo quando la malattia è in stadio avanzato e questo incide non solo sulla sopravvivenza ma anche sulle opzioni terapeutiche, escludendo, ad esempio, il ricorso alla chirurgia: è pertanto essenziale offrire loro un nuovo standard di cura, più efficace e sicuro della chemioterapia. “Questo approccio di studio della genetica del tumore corrisponde a quello di chi, per pescare più pesci tra loro molto diversi, non usi tanti ami ma getti una rete”, conclude Melisi. “Una fotografia di tutte le possibili mutazioni ci permette di ottenere informazioni importanti e di personalizzare il trattamento sulla base delle caratteristiche del malato e del suo tumore”.

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