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Donato

Una diagnosi precoce rappresenta la chiave per migliorare la prognosi dei pazienti: lo dimostra la storia di Donato, che ha scoperto per caso di avere questo tumore

È un tumore eterogeneo e complesso perché interessa le vie biliari e può quindi insorgere a livello dei dotti intraepatici o extraepatici. Non presenta sintomi particolari per cui è difficile stabilire quali siano i campanelli d’allarme a cui prestare attenzione per individuarlo. Inoltre, la sua aggressività e la resistenza ai trattamenti fanno sì che in gran parte dei casi la prognosi non sia affatto buona. Come se tutto ciò non fosse sufficiente, da ormai un ventennio l’incidenza del colangiocarcinoma è in netta crescita, arrivando a farne il secondo tumore epatico primitivo più comune.

UN TUMORE “SILENZIOSO” E UN PREOCCUPANTE INCREMENTO DI CASI

Il livello di allerta nei confronti del colangiocarcinoma è cresciuto di pari passi con il numero di nuovi casi riscontrati: in Italia, in 5 anni, sono passati dai 4.700 del 2015 ai 5.400 del 2020, con un rialzo del 14% (dati AIRTUM: tumori della colecisti e delle vie biliari). Una differenza che fa preoccupare, soprattutto in considerazione del fatto che questo tumore, definito come una “patologia silenziosa”, rimane asintomatico per lungo tempo e inizia a mostrare sintomi più specifici solo in fase avanzata, quando è ormai complicato pensare di intervenire chirurgicamente per rimuoverlo. “Vista la sua prognosi così infausta, ci deve preoccupare questo progressivo aumento di incidenza, che deve impegnare tutta la medicina a ricercare dei fattori predittivi e identificare i pazienti a rischio per poter effettuare screening e sorveglianza, che è il modo più efficace per prevenire e diagnosticare in fase precoce questo tipo di tumore”, afferma il prof. Domenico Alvaro, preside della Facoltà di Medicina e Odontoiatria dell’Università La Sapienza di Roma e coordinatore del Cholangiocarcinoma Working Group, che ha sviluppato le nuove linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità per la gestione del colangiocarcinoma. 

SALVO GRAZIE AL COVID-19: LA STORIA DI DONATO

Nel caso di Donato, sessantaduenne di Monza, il fattore chiave per la diagnosi di colangiocarcinoma si è dimostrato quello a cui nessuno avrebbe mai pensato: il COVID-19. “Tutto è cominciato quando sono stato ricoverato presso l’Ospedale San Gerardo di Monza in seguito all’infezione da SARS-CoV-2”, racconta. “Fortunatamente, non ho sviluppato una forma severa di COVID-19 ma il calo dei valori di saturazione dell’ossigeno ha reso necessario rivolgersi al pronto soccorso. I medici mi hanno sottoposto a diversi esami, fra cui una TAC torace per valutare lo stato dei polmoni, ed è in quel momento che hanno notato un’ombra scura a livello del fegato”. Donato è stato quindi sottoposto a ulteriori accertamenti, fra cui una TAC addominale, che ha confermato la presenza di una massa tumorale, e una biopsia, il cui risultato ha portato alla diagnosi di colangiocarcinoma. “Prima di essere dimesso dall’Ospedale sono stato contattato dall’equipe di chirurghi, che mi ha spiegato nel dettaglio che tipo di tumore fosse e come si sarebbe svolto il delicato intervento di rimozione”. Infatti, il colangiocarcinoma da cui era affetto Donato aveva raggiunto una dimensione di 7 cm e ciò ha reso necessario intervenire immediatamente con una procedura in due fasi, unica nel suo genere. In un primo momento, i medici della Chirurgia Epato-Bilio-Pancreatica del San Gerardo, guidati dal dott. Fabrizio Romano, hanno fatto ricorso a una tecnica eseguita in laparoscopia e conosciuta come mini-ALPPS (Associating Liver Partition and Portal vein ligation for Staged hepatectomy), consistente nella separazione del fegato associata alla legatura della vena porta. Attraverso la procedura, è stato possibile dividere la parte di fegato sana da quella malata: così facendo, la porzione sana è cresciuta di volume tanto che, a una settimana di distanza, Donato ha potuto affrontare la seconda parte dell’intervento, in cui è stato asportato il lobo epatico destro del fegato.

Occorreva agire presto e il mio percorso terapeutico è stato organizzato e strutturato alla perfezione, seppure in un periodo storico complicato come quello della pandemia di COVID-19”, sottolinea Donato. “Sono stato preso in carico dall’equipe multidisciplinare dell’Ospedale e mi sono stati spiegati in maniera chiara i benefici e i rischi dell’intervento. Inoltre, il mio medico di famiglia ha sempre fatto da interfaccia per aiutarmi a comprendere gli aspetti più tecnici dell’operazione. La comunicazione è stata fondamentale per affrontare nel migliore dei modi questo mio problema di salute, di cui, all’inizio, non avevo una chiara percezione. Non avevo ben realizzato che tipo di tumore fosse questo e quanto potesse essere grave la mia situazione”. 

Infatti, prima del ricovero, Donato non aveva mai manifestato alcun sintomo che potesse far pensare a un tumore. Sebbene in giovinezza avesse contratto l’epatite C, che costituisce un fattore di rischio per l’insorgenza del colangiocarcinoma, il suo stato di salute ottimale non lo ha mai indotto a supporre che potesse aver sviluppato questa patologia.

L’IMPORTANZA DELLA RICERCA SCIENTIFICA

Nella lotta ad un tumore insidioso come il colangiocarcinoma, la ricerca scientifica ha sicuramente un ruolo di primaria importanza, come dimostra l’attività svolta presso l’Ospedale San Gerardo di Monza. “La Gastroenterologia del San Gerardo, diretta dal prof. Pietro Invernizzi, è coinvolta in diversi studi sperimentali sul colangiocarcinoma”, spiega la dott.ssa Sara Massironi, gastroenterologa presso lo stesso Ospedale. “Io e la mia collega, la dott.ssa Alessandra Elvevi, in collaborazione con la dott.ssa Raffaella Longarini, del reparto di Oncologia Medica, stiamo seguendo uno studio clinico di Fase II che prevede di valutare l’efficacia del farmaco derazantinib quale trattamento dei pazienti con colangiocarcinoma intraepatico. Inoltre, presso il nostro reparto è di prossima attivazione un ulteriore studio clinico di Fase II incentrato su una piccola molecola con uno spettro di inibizione multitarget”.

“Infine – aggiunge la dott.ssa Massironi – abbiamo appena eseguito una revisione sistematica della letteratura sul possibile ruolo protettivo della metformina nei confronti del colangiocarcinoma in pazienti diabetici”. Infatti, il diabete mellito è uno dei fattori di rischio associati all’insorgenza di colangiocarcinoma: secondo quanto emerso dallo studio [attualmente in revisione per essere pubblicato su una rivista scientifica internazionale, N.d.R.], la metformina, un farmaco ipoglicemizzante usato per il trattamento del diabete mellito di tipo 2, sembra ridurre significativamente il rischio di colangiocarcinoma nel paziente diabetico. Un risultato che conferma la necessità di studiare questo tipo di tumore da diverse angolazioni, cominciando dalle condizioni che ne facilitano lo sviluppo, per trovare soluzioni che riescano ad arginarlo o, meglio ancora, a prevenirlo.

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