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Un’opzione terapeutica in più per l’oncologo, che può disegnare su misura la cura per ogni paziente

Pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati dello studio COMPARZ, primo trial che ha messo a confronto diretto efficacia e tollerabilità di due inibitori della tirosin-chinasi, pazopanib e sunitinib. La ricerca dimostra la non inferiorità del primo in termini di efficacia: per l’oncologo non solo un’opzione terapeutica in più, ma anche un’occasione per una terapia “su misura” per ogni paziente. Lo Studio COMPARZ dimostra infatti la miglior tollerabilità di pazopanib: un parametro chiave nell’individuazione della strategia terapeutica, perché la scelta del farmaco può avere importanti ripercussioni sulla qualità di vita del malato e sulla sua aderenza alla terapia.

“Il nostro compito è trattare la malattia ma anche e soprattutto il paziente - precisa Cora N. Sternberg, direttore del Reparto di Oncologia Medica dell'Azienda Ospedaliera San Camillo - Forlanini di Roma -  per questo è importante la qualità di vita e, come abbiamo visto in un altro studio, a parità di efficacia del farmaco anche la percezione del malato sul suo vissuto quotidiano è importante”. Siamo dunque di fronte a un nuovo, importante passo avanti nel trattamento del tumore del rene metastatico. Il carcinoma renale è un nemico subdolo, che spesso non da segni della sua presenza se non quando è in fase avanzata. Oggi in Italia addirittura il 30 per cento dei circa 8200 pazienti a cui ogni anno viene diagnosticata questa neoplasia ha già metastasi, e un ulteriore 40 per cento le svilupperà nei successivi due anni,

Si tratta del primo studio testa a testa tra due inibitori della tirosin-chinasi: l’indagine ha dimostrato la non inferiorità di pazopanib rispetto a sunitinib per quando riguarda la sopravvivenza libera da malattia (PFS). La ricerca ha preso in esame 1110 pazienti che hanno ricevuto il trattamento con pazopanib o sunitinib alle dosi approvate (pazopanib 800 milligrammi al giorno, sunitinib 50 milligrammi al giorno per quattro settimane, seguite da due settimane di interruzione della terapia). Tutti i malati erano affetti da carcinoma renale metastatico (mRCC) a cellule chiare e non erano mai stati trattati con una terapia sistemica per il tumore metastatico o avanzato. COMPARZ ha dimostrato che l’hazard ratio della sopravvivenza libera da malattia nel confronto fra pazopanib e sunitinib è stato di 1.05 (95% IC 0.90, 1.22). Il margine predefinito per la non inferiorità era che il limite superiore dell’intervallo di confidenza (IC) al 95% fosse <1.25. La PFS mediana è stata di 8.4 mesi (95% IC 8.3, 10.9) per pazopanib e di 9.5 mesi (95% IC 8.3, 11.1) per sunitinib.
L’endpoint secondario del tasso di risposta obiettiva (ORR) è stato del 31% nel gruppo trattato con pazopanib contro il 25% nei pazienti trattati con sunitinib. L’analisi dei dati relativi alla sopravvivenza globale (OS) mostrano un hazard ratio di 0,91 (95% IC 0.76, 1.08; p-value = 0.28). La sopravvivenza totale mediana è stata di 28.4 mesi (95% IC 26.2, 35.6) nei pazienti trattati con pazopanib e di 29,3 mesi nei pazienti trattati con sunitinib (95% IC 25.3, 32.5). Infine, lo studio ha evidenziato un risultato migliore e statisticamente significativo per pazopanib in 11 dei 14 domini di valutazione sulla qualità di vita (QOL). I domini della QOL comprendevano tra l’altro la fatigue, le mucositi, l’eritrodisestesia palmo-plantare, oltre ad altri parametri.

Le ricadute nella pratica clinica

Cosa ci dicono questi risultati? Ci dicono che “lo studio COMPARZ – sottolinea la Prof. Sternberg - ha dimostrato che l'efficacia di pazopanib non è inferiore a sunitinib nel setting di prima linea. Se poi a questi dati sommiamo la preferenza mostrata dai pazienti per pazopanib  in un altro studio in cieco, denominato Pisces, abbiamo a disposizione informazioni importanti da utilizzare nell’impostazione della prima linea terapeutica”.
Sempre di più l’orientamento della ricerca, soprattutto in oncologia, si basa infatti sullo sviluppo del farmaco basato sul valore, dove la voce del paziente è essenziale e diventa un elemento chiave nella pratica clinica dello specialista. In questo senso lo studio COMPARZ avvalora e sostiene anche lo studio Pisces, che aveva messo a confronto pazopanib e sunitinib partendo proprio dalle preferenze del paziente. In quel caso il 70 per cento dei malati aveva espresso il proprio favore per il primo, il 22 per cento per il secondo, mentre l’8 per cento non aveva manifestato preferenza per alcun medicinale. “Lo studio Comparz – sostiene il dott. Procopio, oncologo all'Istituto Nazionale dei Tumori IRCCS di Milano - rappresenta però un importante passo avanti, perché ci offre la dimostrazione della non inferiorità di pazopanib rispetto a sunitinib. Di fronte a un dato di questo tipo, la variabile qualità di vita diventa un elemento predominante nella scelta terapeutica. Nel caso in cui due farmaci abbiano efficacia sovrapponibile, il medico deve ascoltare la voce del paziente anche perché la percezione che può avere un medico sull’impatto di una determinata terapia non è la stessa che ha chi la assume nella quotidianità”.
“Questo non significa però – concludono Sternberg e Procopio - che pazopanib è un medicinale destinato solamente a particolari pazienti. Sunitinib e pazopanib danno lo stesso affidamento: sta a noi definire per ogni malato il farmaco più idoneo, tenendo presente la sua qualità di vita, che è un obiettivo irrinunciabile anche in patologie gravi come il carcinoma renale metastatico”.

La ricerca GSK in oncologia

“Nell’ultimo numero del New England Journal of Medicine – racconta il dott. Giuseppe Recchia, direttore medico e scientifico di GlaxoSmithKline Italia – il Prof. E. Basch illumina il tema che stiamo trattando. Quando mi siedo con i pazienti per discutere l’inizio di un nuovo regime chemioterapico – scrive Basch - la loro prima domanda spesso è ‘Come mi sentirò?’ e ‘Come si sentono i pazienti come me con questo trattamento?’ Purtroppo questa informazione spesso è assente sia nelle schede tecniche dei medicinali che nelle pubblicazioni degli studi clinici. Come si vede – prosegue il Dott. Recchia - il problema che interessa sia il medico che il paziente, evidenziato da Basch, rappresenta uno dei maggiori limiti dell’attuale sviluppo del farmaco per il paziente con malattia neoplastica. L'obiettivo finale di un intervento sanitario è il prolungamento della sopravvivenza del paziente e/o il  miglioramento del suo stato di benessere e della sua capacità funzionale. Mentre la misura diretta della sopravvivenza non pone particolari problemi, almeno da un punto di vista metodologico, diverse sono le difficoltà correlate con la misurazione dello suo stato di salute, ovvero di  come un paziente si sente ed  è in grado di funzionare. Qual è la risposta a ciò? Lo sviluppo del farmaco basato sul valore (Value-based Drug Development) è l’evoluzione del processo di ricerca, caratterizzato da alcuni aspetti particolari: le indicazioni del farmaco sono molto precise, evidenziano una condizione clinica dove maggiore è il bisogno di terapia; i pazienti sono selezionati in modo preciso sulla base di caratteristiche particolari, spesso di test genetici, allo scopo di personalizzare la terapia sullo specifico patrimonio genetico delle persone e in modo da trattare i pazienti maggiormente predisposti a rispondere alla terapia con il minor numero di effetti collaterali. Spesso ciò che viene misurata per valutare l’effetto del farmaco è rilevante non solo secondo la prospettiva medica e clinica ma anche sanitaria e assistenziale e può essere convertito in unità di valore economico, per consentire valutazioni sulla convenienza economica di trattamenti. L’efficacia e la tollerabilità del farmaco viene documentata in modo comparativo attraverso il confronto non più con una sostanza inerte, come il placebo, ma piuttosto con un altro farmaco e talora con lo standard di cura al momento dello studio, allo scopo di fornire informazioni che permettano una scelta ragionata tra le diverse opzioni. Veniamo a pazopanib, che è un esempio di quanto abbiamo detto. La sperimentazione clinica comparativa con lo standard di cura ha confermato il favorevole profilo di tollerabilità (fondamentale per una terapia orale, di assunzione domiciliare, in quanto spesso condiziona il grado di adesione del paziente alla terapia) aggiunge valore terapeutico e non lo scambia con l’efficacia.  La misurazione dei risultati della terapia secondo i valori e le prospettive del paziente rappresenta una evoluzione delle modalità di sviluppo del farmaco coerente con l’evoluzione della società e del ruolo che il paziente sta assumendo nelle decisioni terapeutiche. Il paziente può infatti giudicare la propria salute (Qualità della Vita correlata alla salute), può esprimere preferenze tra trattamenti alternativi (Patient Preference) e può infine esprimere giudizi sul grado di soddisfazione per le cure e la assistenza ricevuta (Patient Satisfaction). Qualità della Vita, Preferenze e Soddisfazione sono espressioni di questo nuovo orientamento, che viene complessivamente indicato come Patient Reported Outcomes e che di recente è stato valutato da importanti enti regolatori internazionali, come la FDA – Food and Drug Administration degli Stati Uniti, come utile per fornire indicazioni per l’uso del farmaco. Nello sviluppo di pazopanib – conclude il dott. Recchia - sono state utilizzate sia la misurazione della Qualità della Vita comparativa (nello studio Comparz) che la valutazione delle preferenze del pazienti tra 2 alternative terapeutiche (nello studio Pisces), con risultati favorevoli in entrambi i casi. In accordo a quanto indicano i proponenti di questo nuovo modello  di sviluppo del farmaco basato sul valore, non si tratta di informazioni formali, utili solamente a documentare in modo accademico il profilo del farmaco, ma di informazioni necessarie per orientare le decisioni di cura del paziente e pertanto in grado di determinare variazioni dei percorsi di cura e assistenza precedentemente adottati”.

 

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