Non solo timoma, anche neoplasie rare
Si stima che in Europa si ammalino di tumore al timo circa 1.4 persone per milione l’anno e che non esista una categoria particolarmente a rischio, in quanto queste neoplasie insorgono egualmente tra uomini e donne di età compresa tra i 30 e i 60 anni. I tumori del timo possono essere suddivisi in tre gruppi: la gran parte sono timomi (T) ed i fattori di rischio legati alla loro insorgenza rimangono ancora sconosciuti mentre è stato possibile osservare che questi tumori rimangono spesso confinati al timo e diffondono raramente, al contrario dei carcinomi timici (TC) i quali presentano un’architettura cellulare diversa ed un tasso di crescita incrementato, correlato anche alla tendenza a metastatizzare in altre sedi. Il timo è l’organo dedicato alla produzione di linfociti T e gioca un ruolo fondamentale nella risposta immunitaria adattativa pertanto lo studio delle patologie tumorali che possono comprometterne le funzioni ha un significato importante. La sinergia creatasi tra i ricercatori di alcune università e centri di ricerca italiani si è di recente concretizzata in un interessante lavoro pubblicato su Annals of Oncology Advances nel quale si fa il punto della situazione sulle neoplasie del timo, prendendo in considerazione le principali aberrazioni genetiche ed i marcatori che siano risultati sovrespressi e riassumendo lo stato dell’arte in merito ai potenziali trattamenti contro questi tumori.
Nonostante esistano svariati sottotipi di timoma (A, AB, B1, B2, B3, C) che presentano aggressività e comportamenti diversi, il gruppo guidato dalla dott.ssa Serpico dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano ha potuto osservare che i livelli di molti marcatori legati a tumori di tipo epiteliale risultano aumentati nei tumori del timo: tra questi, EGFR, KIT e IGF1R. Molti studi di immunoistochimica hanno evidenziato che il recettore del fattore di crescita dell’epidermide (EGFR) risulta sovrespresso nel 70% dei timomi e nel 53% dei carcinomi del timo ed è correlato a tumori in stadio avanzato (stadi III e IV). Il recettore del fattore di crescita insulino simile (IGF1R) ha mostrati livelli di espressione più alti nell’86% dei carcinomi del timo ed è significativamente associato all’aumento di EGFR. Inoltre, IGF1R, in termini di sopravvivenza, correla con tumori dalla prognosi infausta.
Un ultimo aspetto che emerge dallo studio di Serpico et al è legato al promettente utilizzo di anticorpi monoclonali anti-IGF1R (come figitumumab) e di inibitori dell’angiogenesi che hanno prodotto esiti confortanti in recenti trials clinici.
Se da una parte la scarsa incidenza di questi tumori rappresenta una buona notizia, dall’altra non permette di dedurre molte informazioni sulle mutazioni genetiche e sui percorsi mutazionali che costituiscono la carcinogenesi del tumore al timo. Gli studi sui marcatori citati e su altri, come mTOR e gli inibitori delle chinasi tropomiosin-correlata (TrkA) e delle chinasi ciclina-dipendenti (CDKs) stanno gettando nuove luci su processi finora poco noti con la speranza di individuare terapie geniche mirate che aumentino la sopravvivenza nei pazienti colpiti da questo tumore che, a causa dell’alto tasso di recidive e metastasi, rimane molto bassa (35% a 5 anni).