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leucemia linfoblastica acuta, tumori rari, Ospedale Bambino GesùGli specialisti dell'ospedale pediatrico romano hanno utilizzato un approccio sperimentale che 'scatena' il sistema immunitario contro la malattia

Sconfiggere la leucemia linfoblastica acuta, un aggressivo tumore del sangue, con un trattamento sperimentale che sfrutta le cellule immunitarie del paziente, potenziandole per 'aggredire' la malattia. Questo importante traguardo della medicina, fino a qualche anno fa impensabile, non è stato raggiunto in un centro di ricerca americano o cinese, ma in Italia, grazie all’impegno dei ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, che hanno messo a punto un innovativo protocollo terapeutico sostenuto dal Ministero della Salute, dalla Regione Lazio e dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC).

Il filone di ricerca all’interno del quale è stato possibile elaborare questa nuova tecnica è quello della terapia genica e, più specificamente, dell’immunoterapia. Il razionale di questa complicata procedura fa ripensare alle trame dei vecchi telefilm, in cui il protagonista, dopo un’iniziale sconfitta, risorge dalle sue ceneri come l’araba fenice e, dotato di abilità aumentate, sconfigge il nemico. Nel caso del cancro, infatti, esiste una fase della risposta immunitaria del paziente oltre la quale a prevalere è la proliferazione delle cellule tumorali. La strategia messa in atto dai ricercatori italiani è basata esattamente sul potenziamento del sistema immunitario e, in particolare, di una sua componente, i linfociti T. Queste cellule, insieme ai linfociti B e alle cellule Natural Killer, sono tra i primi effettori della risposta immunitaria perché si attivano riconoscendo gli antigeni esposti dalle cellule estranee presenti nell'organismo. Gli studiosi del Bambino Gesù sono stati in grado di 'potenziare' i linfociti T modificandone geneticamente un recettore specifico, denominato CAR (Chimeric Antigenic Receptor), che li abilita al riconoscimento e all'eliminazione delle cellule tumorali presenti nel sangue e nel midollo.

Questa particolare tecnica è stata sperimentata per la prima volta nel 2012 dai ricercatori dell’Università della Pennsylvania presso il Children's Hospital di Philadelphia, che hanno così potuto curare una bambina di 7 anni colpita da leucemia linfoblastica acuta. Da quel momento, su questo innovativo approccio terapeutico sono fioriti numerosi studio in tutto il mondo, che hanno portato, lo scorso anno, all'approvazione statunitense del farmaco tisagenlecleucel (Kymriah®) per pazienti con leucemia linfoblastica acuta a cellule B recidivante o refrattaria. Proprio in questi giorni, il trattamento è stato oggetto di una pubblicazione sul New England Journal of Medicine che ne conferma il valore, specie alla luce della 'difficile' tipologia di malati a cui si rivolge.

Dal punto di vista scientifico, l’approccio adottato dai ricercatori del Bambino Gesù non ricalca in tutto e per tutto quello scelto dagli scienziati nord-americani, a conferma dell’intenso lavoro compiuto nei laboratori di ricerca dell’ospedale romano. Diversa, innanzitutto, è la piattaforma virale utilizzata per la trasduzione dei linfociti T, ossia per la realizzazione del percorso di modificazione genetica di queste cellule. Differente è anche la sequenza genica realizzata, perché prevede l'inserimento della Caspasi 9 Inducibile (iC9), una sorta di gene 'suicida' attivabile in caso di eventi avversi e in grado di bloccare l'azione dei linfociti modificati. E' la prima volta che questo sistema, adottato grazie alla collaborazione dell'Ospedale con Bellicum Pharmaceuticals, viene impiegato in una terapia CAR-T.

Il bambino trattato all’ospedale romano risultava affetto da una forma particolarmente aggressiva di leucemia linfoblastica acuta a cellule B e aveva già sperimentato due recidive di malattia, la prima successiva al trattamento chemioterapico e la seconda dopo un trapianto di midollo osseo da donatore esterno. “Per questo bambino non erano più disponibili altre terapie potenzialmente in grado di determinare una guarigione definitiva”, spiega il prof. Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica, Terapia Cellulare e Genica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. “Qualsiasi altro trattamento chemioterapico avrebbe avuto solo un’efficacia transitoria o addirittura un valore palliativo. Grazie all’infusione dei linfociti T modificati, invece, il bambino oggi sta bene ed è stato dimesso. È ancora troppo presto per avere la certezza della guarigione, ma il paziente è in remissione: non ha più cellule leucemiche nel midollo. Per noi è motivo di grande gioia, oltre che di fiducia e di soddisfazione per l’efficacia della terapia. Abbiamo già altri pazienti candidati a questo trattamento sperimentale”.

Il risultato ha un significato di enorme portata, non solo per i pazienti ma anche per il mondo della ricerca e per le autorità regolatorie che negli Stati Uniti, in Europa e nel resto del mondo stanno valutando l’approvazione delle nuove proposte farmacologiche basate su questa tecnica. “L’infusione di linfociti geneticamente modificati per essere reindirizzati con precisione verso il bersaglio tumorale rappresenta un approccio innovativo alla cura delle neoplasie e carico di prospettive incoraggianti”, conferma il prof. Locatelli. “Certamente siamo in una fase ancora preliminare, che ci obbliga ad esprimerci con cautela. A livello internazionale sono già avviate importanti sperimentazioni da parte di industrie farmaceutiche. Ci conforta poter contribuire allo sviluppo di queste terapie anche nel nostro Paese e immaginare di avere a disposizione un’arma in più da adottare a vantaggio di quei pazienti che hanno fallito i trattamenti convenzionali o che per varie ragioni non possono avere accesso ad una procedura trapiantologica”.

E' grande, quindi, la soddisfazione per l'entusiasmante risultato ottenuto in uno studio che è frutto della ricerca italiana e che è stato finanziato dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), dal Ministero della Salute e dalla Regione Lazio. “Si tratta di una pietra miliare nel campo della medicina di precisione in ambito onco-ematologico”, ribadisce il prof. Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. “Le terapie cellulari con cellule geneticamente modificate ci portano nel merito della medicina personalizzata, capace di rispondere con le sue tecniche alle caratteristiche biologiche specifiche dei singoli pazienti e di correggere i difetti molecolari alla base di alcune malattie. E' la nuova strategia per debellare malattie per le quali per anni non siamo riusciti a ottenere risultati soddisfacenti. Un settore di avanguardia nel quale l'Ospedale non poteva non essere impegnato. Siamo riusciti in tempi record a creare un'Officina Farmaceutica, a farla funzionare, a certificarla e ad andare in produzione. Il risultato incoraggiante di oggi in campo oncoematologico, con la riprogrammazione delle cellule del paziente orientate contro il bersaglio tumorale, ci fa essere fiduciosi di avere a breve risultati analoghi nel campo delle malattie genetiche, come la talassemia, l'atrofia muscolare spinale o la leucodistrofia”.

Clicca qui per scaricare l'infografica dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sulla terapia CAR-T sperimentata nel piccolo paziente con leucemia linfoblastica acuta.

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