L’uso della molecola favorisce l’indipendenza dalle trasfusioni. Per i casi ad alto rischio si studia una terapia combinata con azacitidina
Una review pubblicata a maggio su Annals of Hematology fa il punto sui meccanismi patogenetici alla base delle sindromi mielodisplastiche con del(5q), delezione sul braccio lungo del cromosoma 5, e sul ruolo della lenalidomide nella terapia di queste condizioni.
Le sindromi mielodisplastiche (MDS) sono un gruppo eterogeneo di malattie del sangue caratterizzate da anomalie delle staminali emopoietiche del midollo osseo, che non riescono più a produrre alcune cellule specifiche del sangue, come globuli rossi oppure globuli bianchi o piastrine. Queste anomalie dipendono da alterazioni genetiche, la più frequente delle quali - presente nel 10-15% dei pazienti con MDS - è rappresentata da una delezione interstiziale del braccio lungo del cromosoma 5. In pratica, significa che una piccola porzione di questo cromosoma viene persa. In genere, i pazienti che presentano solo questa alterazione mostrano una prognosi migliore, mentre la presenza di altre alterazioni genetiche rende più probabile la progressione verso leucemia mieloide acuta.
I meccanismi molecolari che, a partire dalla delezione, portano alla malattia sono complessi e sono ancora in fase di chiarimento, tuttavia alcuni dettagli sono ormai noti. In particolare, su Annals of Hematology gli oncologi americani Mahmoud Gaballa ed Emmanuel Besa ricordano in dettaglio una via molecolare che porta all'attivazione del gene P53, la quale a sua volta induce apoptosi (cioè suicidio cellulare) nei precursori dei globuli rossi, portando a una riduzione nell'eritropoiesi. Gaballa e Besa citano inoltre il ruolo di altri geni coinvolti nella modulazione del ciclo cellulare e di due microRNA (miR), piccole molecole di RNA con ruolo regolatorio: la delezione in 5q è infatti associata a una ridotta espressione di miR-145 e miR-146. Naturalmente, migliore è la conoscenza dei meccanismi molecolari alla base di una malattia, maggiore è la possibilità di sviluppare soluzioni terapeutiche efficaci.
A proposito di soluzioni terapeutiche, la review si concentra in particolare sul ruolo della lenalidomide, una sostanza con attività di immunomodulazione in grado di inibire in modo selettivo le linee cellulari con delezione 5q, il cui uso in pazienti con anemia trasfusione-dipendente dovuta a MDS con del(5q) a rischio basso o intermedio-1 è stato approvato l'anno scorso dall'Agenzia europea per il farmaco. Per prima cosa, Gaballa e Besa ricordano i risultati di alcuni studi clinici condotti per valutare il farmaco in pazienti con MDS trasfusione-dipendenti a rischio basso o intermedio 1, anche a dosaggi differenti. La conclusione di questi studi è che la lenalidomide porta effettivamente beneficio a questi pazienti, dando a una buona risposta citogenetica e un certo grado di indipendenza dalle trasfusioni.
Entrambi i dosaggi testati (5 mg al giorno e 10 mg al giorno) si sono mostrati efficaci, con effetti avversi gestibili, ma il dosaggio più elevato ha dato una risposta citogenetica migliore. Il suggerimento è dunque a iniziare la terapia con dosaggio superiore, per poi ridurlo o sospenderlo in caso di necessità.
Per quanto riguarda sindromi mielodisplastiche del(5q) ad alto rischio, il lenalidomide sta dando risultati interessanti se utilizzato in combinazione con azacitidina, un agente demetilante. Secondo i primi risultati di uno studio multicentrico di fase 2, il regime combinato appare ben tollerato e con una certa efficacia in termini di risposta citogenetica, miglioramento ematologico e sopravvivenza media, il che sembra renderlo un'opzione possibile per pazienti ad alto rischio.
La review si sofferma inoltre sui possibili effetti tossici della terapia con lenalidomide, ricapitolando gli effetti avversi in ambito ematologico (neutropenia e trombocitopenia) e non ematologico (rash cutaneo e prurito, ipotiroidismo, effetti gastrointestinali e renali). Per quanto riguarda i primi, tendenzialmente più gravi, Gaballa e Besa ricordano che una gestione precoce e accurata di questi eventi può aiutare a massimizzare il beneficio clinico del farmaco. Gli autori, inoltre, ricordano che la formulazione di lenalidomide contiene lattosio, un'informazione importante per chi soffra di intolleranza a questa molecole e dovrebbe dunque prevedere, in caso di assunzione, un'integrazione con lattasi.
Infine, gli autori si soffermano sulla preoccupazione che la terapia con lenalidomide possa favorire la progressione verso leucemia mieloide acuta, citando alcuni risultati che sembrano scongiurarla del tutto. Nonostante questi dati positivi, però, rimane un limite all'utilizzo del lenalidomide e cioè il fatto che non ci sono ancora dati sufficienti sui suoi benefici a lungo termine.