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Nove ospedali italiani su dieci non hanno esperienza sufficiente per operare pazienti affetti da tumore al pancreas, ma nonostante ciò procedono con l’intervento chirurgico: questo emerge da un’indagine condotta dall’Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas (AISP), dalla Direzione Generale della Programmazione Sanitaria del Ministero della Salute e dal Centro di ricerca (CERGAS) dell’Università Bocconi di Milano, pubblicata su HPB, la rivista dell’Associazione Mondiale per la Chirurgia epato-bilio-pancreatica.

Il tumore al pancreas ha 12.500 nuove diagnosi ogni anno in Italia: spesso viene diagnosticato quando è ormai già inoperabile e in uno stadio avanzato, tanto difficile da curare che solo 8 pazienti su 100 sono vivi a cinque anni dalla diagnosi. Un cancro che miete ancora ogni anno moltissime vittime e secondo le stime più recenti le cose sono destinate a peggiorare: se già oggi nel nostro Paese è tra le prime quattro cause di morte per cancro, si prevede che nel 2020 arriverà al secondo posto.

L’asportazione completa del tumore resta l’unico trattamento che può portare ad una guarigione, ma la chirurgia pancreatica (per la posizione dell’organo, la sua struttura, la presenza di numerosissime complicazioni) è una pratica molto difficile.
Molti studi scientifici negli ultimi anni hanno dimostrato che la sopravvivenza dei malati di cancro è di gran lunga migliore quando vengono seguiti in centri specializzati, dove possono essere curati da un team di medici multidisciplinare e da personale che abbia esperienza, importantissima soprattutto per i casi più complessi. Inoltre, ricerche precedenti hanno documentato che quando l’asportazione di un carcinoma pancreatico viene eseguita in ospedali con scarsa esperienza, i pazienti hanno un notevole aumento del rischio di mortalità operatoria e hanno una ridotta sopravvivenza a lungo termine. Per questo tutte le linee guida nazionali e internazionali suggeriscono di riservare questa chirurgia agli ospedali con molta esperienza e alcuni Paesi – come Inghilterra e Germania - hanno deciso di regolamentare la chirurgia pancreatica per legge.

“In Italia invece non ci sono direttive in merito e ogni ospedale, seppur piccolo e senza adeguata esperienza, è legittimato ad offrire al malato con tumore del pancreas un trattamento chirurgico - spiega al Corriere.it Gianpaolo Balzano, dell’Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas (AISP) e responsabile Unità Funzionale di Chirurgia del Pancreas all’Ospedale San Raffaele di Milano -. Ma per garantire a tutti i pazienti con tumore del pancreas un accesso a cure adeguate è necessario regolamentare l’offerta anche nel nostro Paese”.
La ricerca ha indagato quasi 11mila interventi chirurgici eseguiti per cancro del pancreas in Italia in un periodo compreso tra il 2010 e il 2012, ed è emerso che ben 544 ospedali italiani operano malati con tumore del pancreas e che il 90 per cento di questi centri ha una esperienza chirurgica insufficiente per offrire un trattamento adeguato. In particolare 408 ospedali eseguono meno di tre resezioni pancreatiche all’anno (volume di chirurgia pancreatica molto basso) e 76 ospedali ne eseguono meno di nove (volume di chirurgia pancreatica basso).

“Dallo studio sono emerse le gravi conseguenze del trattamento chirurgico eseguito negli ospedali con esperienza insufficiente – prosegue Balzano -, che possono essere riassunte in cinque punti. Primo, il malato ha un maggior rischio di morire per gli interventi di asportazione del tumore: l’11,7 per cento negli ospedali con minore esperienza contro il 3,8 per cento negli ospedali con maggiore esperienza. Secondo, il paziente ha una minore probabilità che il chirurgo riesca a eliminare il tumore quando è operato negli ospedali ‘meno preparati’. Terzo, il pericolo di morte sale anche per le operazioni in cui il tumore non viene asportato: 10,6 per cento negli ospedali a minor volume contro il 4,6 dei più grandi. Quarto, è stato riscontrato un eccesso di interventi chirurgici palliativi o esplorativi (nel 63 per cento negli ospedali a minor volume contro il 24 di quelli più esperti), cioè di interventi che potevano essere evitati con l’utilizzo di procedure endoscopiche o con una più accurata stadiazione del tumore. Quinto, tutto ciò comporta uno spreco di risorse per il servizio sanitario dovuto all’eccesso di interventi evitabili: abbiamo calcolato circa 9 milioni di euro nel periodo di studio”.

“In Italia c’è la necessità di monitorare e incrementare l’appropriatezza dell’offerta ospedaliera –ha spiegato Flavia Carle, dirigente della programmazione sanitaria del Ministero della Salute e Docente di Statistica medica all’Università Politecnica delle Marche -. Per i casi complessi è fondamentale garantire al paziente l’accesso ai centri di alta specialità, che possono offrire un più elevato standard di cure. Studi come questo, su casistiche italiane, sono fondamentali per produrre le evidenze scientifiche indispensabili per l’emanazione e l’aggiornamento continuo dei provvedimenti normativi di programmazione sanitaria da parte del Ministero della salute, come il recente Regolamento sugli standard ospedalieri”. “Se tutti i pazienti fossero stati trattati nei centri con maggiore esperienza, avrebbero potuto essere risparmiati più di 3 milioni di euro all’anno - conclude Elena Cantù, che ha coordinato il gruppo di ricerca del CERGAS Bocconi -. Risorse che potrebbero essere reinvestite in formazione, sistemi di monitoraggio e miglioramento della qualità delle cure, o rimborsi per la mobilità dei pazienti e familiari, data la possibile necessità di essere curati lontani dal proprio domicilio”.

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