La malattia, il cui nome è in realtà ‘malattia di Anderson – Fabry’ prende il nome dai due medici che in maniera del tutto indipendente la descrissero per la prima volta alla fine dell’800. Si tratta di una malattia da accumulo lisosomiale, dovuta cioè alla carenza di un enzima, in questo caso l’alfa galattosisadi. La carenza di questo enzima porta all’accumulo di glicosfingolipidi, in particolare globotriaosilceramide (GL-3), nei tessuti viscerali e nell’endotelio vascolare di tutto l’organismo. Questo accumulo provoca danno a livello renale, cardiaco e del sistema nervoso centrale.
I pazienti affetti possono andare incontro ad un peggioramento della qualità di vita a causa di complicanze di natura renale, cardiaca, cerebrovascolare o ad una combinazione di esse; tali complicanze possono portare, intorno alla quarta o quinta decade di vita, ad una morte prematura. I primi sintomi posso manifestarsi in età differente, anche se generalmente nel periodo infantile, ed avere entità e decorsi differenti. In genere comunque tutto comincia con dolori anche molti forti agli arti, febbre, stanchezza e intolleranza agli sforzi, al caldo e al freddo eccessivi, talvolta anche disturbi dell’udito e alla vista, sintomi non specifici che rendono piuttosto difficile la diagnosi che può arrivare dopo anni, in età adulta, quando ormai ci sono compromissioni irreversibili degli organi interni. Una diagnosi precoce ed un appropriato trattamento possono al contrario contribuire al miglioramento dei sintomi e ad una migliore qualità di vita.
La trasmissione della malattia è ereditaria e legata al cromosoma X. Le madri, ad ogni concepimento, hanno una probabilità del 50% di trasmettere il gene difettoso ai propri figli, siano essi di sesso maschile o femminile. I padri con la Malattia di Anderson-Fabry non trasmettono il gene difettoso ai propri figli maschi, ma solamente alle figlie femmine. In funzione di un complesso meccanismo genetico noto come inattivazione del cromosoma X, i soggetti eterozigoti sviluppano la malattia in forma lieve, moderata oppure classica. In genere sono i maschi a sviluppare i sintomi in maniera più forte ma in ogni caso, anche all’interno della stessa famiglia, la malattia può presentarsi con sintomatologie ed evoluzione clinica anche molto differente.
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