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Bologna – Sono stati celebrati nei giorni scorsi (il 2 marzo) i 200 anni dalla pubblicazione del celebre trattato "Essay on the Shalking Palsy" di James Parkinson, un giovane medico di famiglia che nel 1817 ha descritto per la prima volta una malattia che, qualche anno dopo, avrebbe preso il suo nome. Si riconosce infatti a lui il merito di aver descritto nella sua opera i sintomi più importanti del Parkinson. Di questo e di tutte le tappe fondamentali percorse in questi due secoli dalla scoperta della malattia, ai progressi fatti in campo scientifico passando dalla gestione della stessa, si è parlato a Bologna (Aula Montagna, Ex Clinica Neurologica-Università di Bologna - Via Ugo Foscolo 7) in occasione dell’evento “I 200 anni di James Parkinson” che ha visto riuniti i maggiori esperti di Neurologia, organizzato dall’Accademia Limpe-Dismov, con il contributo non condizionato di AbbVie.

"Celebrare il libro di James Parkinson rappresenta un momento importante per richiamare l’attenzione su una patologia che colpisce milioni di persone nel mondo e su un gruppo di malattie neurodegenerative “sorelle” che spesso l’accompagnano. – dichiara Pietro Cortelli, Presidente Accademia LIMPE-DISMOV, Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna – Azienda USL di Bologna – La storia della malattia è molto lunga: basti pensare che se ne fa già cenno in un papiro egiziano, in un trattato di medicina Ayurveda e nelle Sacre Scritture, nei quali ritroviamo una descrizione di sintomi analoghi a quelli riportati successivamente dal giovane dottore. Si dovrà però aspettare i primi del '900 per identificare le particelle microscopiche del cervello colpite dalla malattia e per scoprire che la principale struttura cerebrale colpita dal Parkinson era la Substantia Nigra. Il punto di svolta più importante si avrà poi nel 1960 con l’identificazione della dopamina e del suo ruolo nella malattia” – conclude Cortelli.

La malattia di Parkinson, che è la seconda malattia neurodegenerativa dopo l’Alzheimer, è diffusa in tutto il mondo ed è in costante incremento, soprattutto per l’aumento dell’aspettativa di vita media. Sono tanti i  personaggi famosi colpiti da questo disturbo: da Franco di Spagna, Yasser Arafat, Breznev, Dalì, Charlie Chaplin, Mao Tse Tung, Michael J. Fox fino a Papa Giovanni Paolo II, il cardinale Martini e  Muhammad Alì.
Nel nostro Paese sono 250.000 le persone affette dal Parkinson. La malattia ha da sempre riscosso l’interesse dei ricercatori ed è ormai gestibile con efficacia per molti anni dopo l’esordio.

"Nel nuovo millennio le conoscenze relative al Parkinson si sono allargate notevolmente ed è probabile che, in un tempo più o meno prossimo, possano aggiungersi altre scoperte che potranno portare alla correzione dei "meccanismi" degenerativi della malattia – dichiara Leonardo Lopiano, Presidente Eletto Accademia LIMPE-DISMOV, A.O.U. Città della Salute e della Scienza - Università di Torino – Attualmente, grazie alle avanzate tecniche di biologia molecolare, l'attenzione si sta focalizzando sulla terapia genica e sulle cellule staminali. Il trapianto di cellule mesencefaliche fetali, che ha già dato risultati positivi su alcuni pazienti, le cellule staminali adulte mesenchimali (prelevate dal paziente o da un donatore, adeguatamente trattate, e reintrodotte nell’organismo) potranno essere una terapia per un prossimo futuro. Verranno probabilmente realizzati studi clinici con trapianti di cellule staminali embrionali e, soprattutto, di cellule staminali pluripotenti adulte, ovvero cellule non del sistema nervoso, prelevate da un individuo adulto ed adeguatamente trattate per “essere trasformate” in cellule di vari tessuti, fra cui quello nervoso."

Nella forma tipica, l’esordio della malattia si presenta unicamente in un lato del corpo (destro o sinistro); in un secondo tempo la sintomatologia si presenta anche nell’altro lato. La diagnosi differenziale si basa sulla storia clinica del paziente, sull’esame neurologico eseguito durante la visita, su esami diagnostici con strumenti che producono neuro-immagini e su test per valutare la risposta recettoriale del paziente.

“Il Parkinson può essere considerata oggi una malattia cronica a tutti gli effetti che implica una gestione del paziente a lungo termine e richiede il coinvolgimento e l’intervento di numerose figure assistenziali per una gestione multidisciplinare integrata che va dalla terapia interventistica, ai programmi riabilitativi, all’assistenza domiciliare, al supporto socio-assistenziale, al supporto del caregiver, ai ricoveri di sollievo – afferma Cortelli. Il riconoscimento della malattia di Parkinson all’interno dell’elenco delle malattie croniche dell’ultimo Piano Nazionale Cronicità, pubblicato dal Ministero della Salute nel 2016, rappresenta una risposta a questa complessità perché crea una “strada” codificata per la gestione del paziente, consentendo al tempo stesso di migliorarne l’assistenza e ottimizzare l’uso delle risorse sanitarie”.

“Considerando la numerosità degli operatori interessati e la complessità degli interventi necessari alla presa in carico globale del paziente, è indispensabile l’integrazione di queste attività a livello territoriale con la predisposizione di una rete di servizi che garantisca la continuità assistenziale-riabilitativa – conclude Lopiano. Un modello di rete efficace dovrebbe prevedere la presenza di unità operative ospedaliere di riferimento e di unità territoriali per migliorare l’organizzazione dei percorsi di cura e per contribuire alla diffusione di approcci avanzati nei processi assistenziali”.

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