La molecola era caduta un po’ in disgrazia dopo che in alcuni pazienti con Parkinson era stata riscontrata una conseguente fibrosi valvolare cardiaca. Per questo ultimi però le dosi sono molto più elevate
Da ricerca appena pubblicata sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, compiuta da un gruppo di ricercatori del Hopital de Bicetre di Parigi, guidati da Laure Sandret, emergono dati positivi relativamente all’utilizzo della cabergolina nella terapia dell’acromegalia. Si tratta di una notizia di rilievo se si considera che questo farmaco, precedentemente utilizzato anche nella terapia del Parkinson oltre che in questa rara malattia endocrinologiaca, alcuni anni fa era stata associata ad episodi di fibrosi valvolare cardiaca in pazienti con Parkinson e a seguito della pubblicazione di due studi nel gennaio 2007, l’FDA aveva emesso un bollettino che annunciava il ritiro volontario dal mercato di pergolide da parte del produttore. Nel Regno Unito, il Ministero aveva imposto restrizioni per l’utilizzo di cabergolina nel trattamento del Parkinson, senza fare cenno ai pazienti con patologie ipofisarie, come appunto i pazienti con acromegalia. La Society for Endocrinology, come spiegato nel sito dell'Associazione Medici Endocrinologi (Ame) aveva più volte ribadito che, pur comprendendo le preoccupazioni, era necessario considerare il fatto che le dosi di cabergolina impiegate nel Parkinson sono notevolmente maggiori di quelle utilizzate nei pazienti con malattie endocrine e che a tutt’oggi non vi sono segnalazioni di fibrosi valvolare cardiaca in alcun paziente trattato con qualunque dopaminergico per malattie endocrine.Pertanto la società degli endocrinologi, si legge sempre nel sito dell'Ame siano e rimangano un ‘utile complemento nel trattamento dell’acromegalia’. Una posizione, questa, che sembra essere confermata dal nuovo studio francese sulla cabergolina.
Lo studio retrospettivo condotto dai ricercatori francesi era infatti volto a ottenere un quadro più preciso l'efficacia della cabergolina nell’acromegalia, sia da solo che in combinazione con analoghi della somatostatine.
Il gruppo ha dunque esaminato tutti gli studi clinici in cui la cabergolina era stata impiegata come terapia per acromegalia pubblicati fino al 2009 prendendoli da quattro banche dati (PubMed, Pascal, Embase, e Google Scholar). Di questi ne sono stati identificati 15, di cui 11 prospettici, per un totale di 237 pazienti. Secondo nove studi, cinquantuno dei 149 pazienti, cioè i l34 per cento, ha raggiunto valori normali di IGF-I, il fattore di crescita insulinosimile 1, che nelle persone affette da questa malattia risulta elevato per effetto di una anomala produzione dell’ormone della crescita GH da parte dell’ipofisi.
E’ proprio l’aumento di questo ormone che causa in questi soggetti una crescita anomala, per lo più evidente nei tratti somatici e negli arti ma con complicanze a livello sistemico. In 5 degli studi esaminati la cabergolina aggiunta al trattamento in corso con analogo della somatostatina, che non era riuscito a normalizzare IGF-I, ha portato quaranta pazienti (52 per cento) a raggiungere valori normali di IGF-I.
Ciò suggerisce che la terapia con cabergolina potrebbe contribuire a normalizzare i livelli di IGF-I quando un analogo della somatostatina non riesce a controllare l'acromegalia, anche se questo non implica che sia da ricorrere a questo farmaco in via principale. L’acromegalia, infatti, nella maggior parte dei casi è causata da un adenoma dell'ipofisi, cioè un tumore benigno, sia secernente solo GH (60 per cento) sia misto e la terapia considerata attualmente di prima scelta è l’escissione della lesione che causa la malattia. Quando la chirurgia non riesce a correggere l'ipersecrezione di GH/IGF-I, può essere usata la terapia medica utilizzando analoghi della somatostatina e/o la radioterapia; per la malattia esistono attualmente farmaci appositamente approvati, sia con classificazione orfana che senza.