Stampa

I cambiamenti fisici avvengono così lentamente che il paziente spesso trascura queste alterazioni e ritarda la diagnosi

BRESCIA – “Una malattia subdola, con segni evidenti e altri invisibili”. Così il Prof. Andrea Giustina, Ordinario di Endocrinologia all’Università di Brescia, definisce l’acromegalia. Nel suo centro ha in cura più di cento pazienti: in Italia si supera ampiamente il migliaio.

Professore, molti confondono l’acromegalia con il gigantismo: quali sono le differenze fra queste due patologie?
Nel gigantismo ipofisario l’insorgenza avviene in età infantile o adolescenziale, prima che sia avvenuta la saldatura delle cartilagini di accrescimento. Se l’ipersecrezione dell’ormone somatotropo si verifica più tardi, nell’età adulta, parliamo di acromegalia. Fondamentalmente si tratta della stessa malattia, ma il paziente acromegalico il più delle volte ha una statura normale e non cresce smisuratamente in altezza come quello affetto da gigantismo, che mantiene tuttavia corrette le proporzioni corporee.

Si tratta di una malattia molto rara: qual è l’incidenza?
Quattro o cinque casi su un milione, anche se alcuni recenti studi belgi indicano che l’incidenza potrebbe essere due o tre volte superiore. Questo dato si deve attribuire principalmente alla sottodiagnosi: il ritardo diagnostico, infatti, può arrivare anche ai dieci anni. La prevalenza della malattia, invece, è circa dieci volte superiore all’incidenza: un fatto che si spiega con la sua cronicità.

I sintomi che si presentano possono essere visibili o invisibili: quali sono?
I sintomi evidenti sono la deformità delle mani e dei piedi e l’alterazione dei tratti somatici. Ma la malattia colpisce anche gli organi interni, causando cardiomegalia ed epatomegalia, e altri disturbi come diabete, ipertensione e artrosi. L’acromegalia è una malattia che mette a rischio la vita e ne riduce l’aspettativa. È subdola perché i cambiamenti fisici avvengono progressivamente e molto lentamente: così il paziente spesso trascura queste alterazioni, e persino i suoi parenti stretti, con il tempo, si abituano ad esse senza preoccuparsi.

Una volta diagnosticata, però, ci sono diverse opzioni terapeutiche.
Dipende dalla grandezza dell’adenoma: se supera il centimetro di diametro, le percentuali di successo di un intervento chirurgico scendono sotto il 50%. Un’ulteriore complicazione si verifica se il tumore viene in contatto col nervo ottico. Se si esclude la chirurgia, l’opzione farmacologica consiste negli analoghi della somatostatina, un ormone prodotto dall’ipotalamo. Questi farmaci, in circa la metà dei pazienti, raggiungono l’obiettivo di inibire l’ormone della crescita: per l’altra metà, a breve sarà disponibile anche in Italia la molecola di nuova generazione pasireotide, che ha dimostrato di essere più efficace degli analoghi tradizionali della somatostatina, in quanto ha uno spettro di legame recettoriale più ampio. Un’ulteriore alternativa è il pegvisomant, che ha un effetto periferico sull’ormone della crescita bloccandone l’azione, ma non ha alcun effetto sull’adenoma.

I suoi studi hanno messo in evidenza la fragilità scheletrica del paziente acromegalico.
L’osso di questi pazienti si presenta denso alla periferia ma fragile all’interno, soprattutto le vertebre: se sottoposto a mineralometria ossea computerizzata (MOC) può apparire anche più denso del normale, ma la sua resistenza è notevolmente ridotta. Il nostro primo studio del 2005 è nato dall’osservazione che le pazienti con acromegalia presentano spesso una marcata cifosi dorsale: utilizzando un sistema di analisi radiologica-morfometrica siamo arrivati a dimostrare che questi pazienti presentano anche un’elevata prevalenza di fratture vertebrali da osteoporosi. Questo dato è stato successivamente confermato da noi anche nei maschi e da altri gruppi di ricerca internazionali. Tutti questi dati sulla fragilità scheletrica in acromegalia sono stati raccolti e sistematizzati nella nostra recente meta analisi pubblicata sul Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, che a distanza di dieci anni dalla nostra scoperta definisce il rischio di frattura vertebrale come una complicanza emergente e severa della malattia acromegalica.

Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento. Maggiori informazioni