Il racconto di una mamma che non si è mai arresa di fronte alle difficoltà: “Mi chiedo soltanto come starebbe oggi Amedeo se la diagnosi fosse arrivata prima”
“Mi sono accorta fin dai primi mesi di vita che Amedeo era più lento nella crescita e faticava a camminare e a svolgere altre piccole azioni. Facevo il confronto con suo fratello maggiore e la differenza era evidente. Quando ne parlavo con il pediatra, la risposta era sempre la stessa: ogni bambino ha i propri tempi di crescita”. Inizia così la testimonianza di Carla (nome di fantasia), una madre tenace e coraggiosa che ogni giorno assiste il proprio figlio Amedeo (nome di fantasia), affetto da alfa-mannosidosi, senza mai arrendersi all’idea che non ci sia nulla da fare per migliorare la sua qualità di vita.
“All’inizio la risposta del pediatra, circa i differenti tempi di crescita di ogni bimbo, mi aveva soddisfatta, ma più passava il tempo e meno mi convinceva, perché mi rendevo conto che qualcosa, purtroppo, non andava”, prosegue Carla. “Così, quando Amedeo aveva circa 2 anni e mezzo, ho preteso che venissero fatti degli approfondimenti clinici. Il bambino è stato ricoverato e sottoposto a diverse analisi. Dopo un paio di giorni di verifiche gli fu semplicemente diagnosticata una presunta infezione da Citomegalovirus che giustificava i ritardi di apprendimento di cui Amedeo soffriva. Rimasi perplessa, poco convinta di questa diagnosi. In fondo ero solo una mamma, e i dottori erano loro, ma dentro di me, nel profondo, rimanevo dubbiosa”.
“Intanto – racconta Carla – cercai di seguire le raccomandazioni che i medici mi avevano dato: stimolare il bambino e accompagnarlo il più possibile nella sua crescita. Cosa che ovviamente ho fatto. Ho stimolato Amedeo, giorno dopo giorno, spingendolo a fare tutte le cose che normalmente fa un bambino della sua età. Ha iniziato ad andare a scuola, ha imparato a leggere e scrivere. Se la cavava, nonostante tutto. Fino agli otto-nove anni di Amedeo siamo andati avanti così, con grandi sacrifici, facendo i conti con le sue difficoltà ma tentando di superarle. Poi, però, il bambino ha avuto una sorta di regressione. Aveva discretamente imparato sia a scrivere che a camminare, ma lentamente sembrava perdere queste capacità acquisite. Così, quel dubbio che mi tenevo dentro da anni è riemerso, e ho preteso nuovi accertamenti. Ho iniziato a cercare un ospedale in cui potessero fargli delle analisi più specifiche. Dove varie ricerche ho trovato un Centro di ricerca a Bosisio Parini, in provincia di Lecco. Fu la svolta: mi dissero che Amedeo poteva essere affetto da mucopolisaccaridosi e per confermare la diagnosi ci indirizzarono al Policlinico “Gemelli” di Roma, dove fecero degli esami specifici sul tessuto cutaneo di mio figlio: inviarono il campione ad un Centro australiano e da lì arrivò la diagnosi definitiva: Amedeo era affetto da alfa-mannosidosi. A quel punto mio figlio aveva già 13 anni. Era stato necessario tanto, troppo tempo per arrivare a quella diagnosi, ma alla fine, almeno, avevamo una certezza”.
“I medici furono chiari: si trattava di una malattia ultra rara per la quale non esisteva una vera e propria cura”, ricorda Carla. “Avrei sperato, come mamma, che Amedeo non fosse affetto da una simile patologia, ma non mi lasciai vincere dallo sconforto e cercai subito di capire come potevo essere d’aiuto per mio figlio. I dottori mi dissero anche che, essendo l’alfa-mannosidosi una malattia da accumulo di zuccheri complessi, la situazione clinica di Amedeo sarebbe progressivamente peggiorata e mio figlio avrebbe continuato a perdere molte delle sue capacità psico-fisiche. L’unica cosa che si poteva tentare di fare era di rallentare i suoi peggioramenti, stimolandolo quotidianamente con fisioterapia, psicomotricità, logoterapia. La mia famiglia abitava in un piccolo paesino lontano dai principali Centri di cura, in cui poter far seguire ad Amedeo i corretti interventi di riabilitazione. Inoltre, dovendo gestire una famiglia con quattro figli, il lavoro e tutto il resto, ogni volta spostarsi e conciliare gli impegni era complicatissimo. Dovevamo trovare una soluzione migliore: nonostante dedicassi ad Amedeo ogni mio istante, provavo dei sensi di colpa perché comprendevo che quello che riuscivo a dargli non era sufficiente. Così presi una decisione, sofferta ma necessaria: trovare una struttura capace di prendere in carico Amedeo e seguirlo costantemente. Mi misi alla ricerca del Centro più adatto, trovandone uno specializzato a circa 300 chilometri da casa. È stata una decisione dura quella di lasciare mio figlio nella struttura e vederlo solo il fine settimana, o a settimane alterne, ma mi rendevo conto che per lui era la scelta migliore”.
“Nel frattempo – prosegue Carla – rimasi attiva nella ricerca di informazioni su possibili nuove terapie specifiche per l’alfa-mannosidosi. Nel 2003, venni a conoscenza dell’esistenza di un protocollo di sperimentazione in corso in un Centro della Danimarca. Si trattava di uno studio che, in seguito, ha portato all’unico attuale trattamento appositamente indicato per i pazienti affetti da alfa-mannosidosi: la terapia enzimatica sostitutiva. Decisi di mettermi in contatto con il responsabile scientifico della ricerca, il quale fu molto disponibile: mi diede varie informazioni e, soprattutto, accese in me la speranza che avevo sempre coltivato, quella di poter offrire a mio figlio una terapia capace di farlo vivere al meglio. Certo, ci è voluto del tempo perché il farmaco, da sperimentale, diventasse accessibile anche per i pazienti italiani, ma alla fine, ad aprile del 2018, ce l’abbiamo fatta: anche mio figlio ha potuto ricevere il trattamento”.
“La terapia enzimatica è di grande aiuto per Amedeo: gli evita una delle principali problematiche legate alla malattia, ossia l’insorgenza di quelle infezioni ricorrenti che hanno contraddistinto la sua vita da ragazzino, debilitandolo nel fisico e nel morale. Evitare queste infezioni periodiche e il ricorso continuo a cicli di antibiotici è stata una vera liberazione. L’unico limite di questa terapia è che non supera la barriera emato-encefalica e non è quindi in grado di rallentare la degenerazione cognitiva. Per questo motivo, Amedeo va incontro a problemi psichici importanti. A volte ha delle crisi psicotiche che possono durare anche per 36 ore ininterrotte, durante le quali mio figlio rimane sveglio parlando in continuazione, senza seguire un filo logico. È una sofferenza terribile per lui, ma anche per me, che lo vedo star male senza poterlo aiutare. A breve, Amedeo compirà 44 anni e spesso mi chiedo come sarebbe stata la sua vita se solo la diagnosi di alfa-mannosidosi fosse arrivata prima. La mia speranza è che oggi i pediatri possano essere più informati sulla patologia, in modo che sia possibile ottenere una diagnosi certa in tempi brevi, perché questo può fare la differenza”.
“Mio figlio, a prescindere dalle sue crisi psicotiche, è sempre stato buono e sensibile. Nonostante ciò – confessa Carla – è stato complicato gestire la sua crescita, ma è una situazione che ho affrontato cercando di non farla pesare al resto della famiglia. Non ho mai pensato ‘perché proprio a mio figlio?’ Ho sempre ritenuto che le malattie possano capitare e, in questo caso, è capitato a noi. Accettato il fatto, ho cercato di capire cosa concretamente potessi fare per Amedeo, per farlo stare meglio. È questo il messaggio che vorrei lanciare: anche con un figlio affetto da una malattia rara, si può pensare di vivere una vita felice”.