Il professor Giuseppe Spadaro (Napoli): “Ci stiamo finalmente avvicinando a una profilassi efficace, sicura e facilmente somministrabile”
“La gestione terapeutica del paziente con angioedema ereditario comincia con la diagnosi precoce”, spiega il professor Giuseppe Spadaro, responsabile del Centro di riferimento della Campania per la diagnosi e la terapia dell'angioedema ereditario presso l'Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’. “Solo dopo aver accertato la malattia si può cominciare a pensare alla profilassi e al trattamento dell’attacco acuto”. Durante il webinar “Angioedema ereditario, conoscerlo per affrontarlo senza ansia”, promosso da OMaR in collaborazione con l’associazione AAEE APS-ETS e con il contributo non condizionante di Takeda, il professor Spadaro ha illustrato i trattamenti oggi disponibili e le nuove prospettive terapeutiche per questa rara patologia genetica, caratterizzata dalla comparsa di gonfiori (edemi) della cute, delle mucose e degli organi interni.
Particolarmente pericolosi possono risultare gli edemi a carico delle vie aeree superiori (laringe, glottide, naso, lingua), che rischiano di portare a morte per soffocamento se non si interviene immediatamente. “La tempestività è fondamentale”, spiega Spadaro. “La crisi potrebbe essere fatale, quindi il trattamento va somministrato il prima possibile, anche presso il domicilio del paziente. Quest’ultimo, inoltre, dovrebbe essere educato all'auto-somministrazione del farmaco in caso di necessità”.
“La profilassi, invece, serve per evitare gli attacchi”, continua il professore. Oggi, infatti, conoscendo le cause dell’angioedema ereditario, possiamo giocare d’anticipo. I primi due tipi di angioedema ereditario (HAE) sono la conseguenza di un difetto genetico che comporta una sintesi insufficiente (HAE di tipo 1) o non funzionale (HAE di tipo 2) del C1 esterasi-inibitore (C1-INH): la principale proteina che regola l'attivazione dei mediatori della permeabilità vascolare, tra cui la bradichinina. Recentemente è stato descritto un nuovo tipo di angioedema (HAE di tipo 3) che, pur presentando livelli normali di C1-INH, mostra un alterato metabolismo della bradichinina.
“La profilassi a breve termine viene messa in atto in circostanze che potrebbero scatenare o favorire una crisi, ad esempio traumatismi del cavo oro-faringeo, procedure endoscopiche, interventi chirurgici o eventi psicologicamente stressanti”, sottolinea Giuseppe Spadaro. “La profilassi a lungo termine, invece, interessa i pazienti più gravi, che presentano più di 12 attacchi all’anno, con intensità moderata o severa, o che soffrono di angioedema per più di 24 giorni in 12 mesi”.
Negli ultimi anni, l’industria farmaceutica, anche grazie alla spinta delle associazioni, ha investito molto nella ricerca clinica ed è in procinto di offrire ai pazienti delle terapie innovative. “Tra i nuovi farmaci già approvati - precisa il professor Spadaro - ricordiamo il berotralstat, un inibitore orale della callicreina plasmatica, mentre sono in via di sviluppo il garadacimab, un anticorpo monoclonale umanizzato capace di contrastare il fattore XII della coagulazione, e terapie che agiscono sull’espressione genica del C1 inibitore e del fattore XII”.
“Questi ultimi trattamenti che ho citato - specifica Giuseppe Spadaro - non usciranno sul mercato rapidamente, ma oggi disponiamo comunque di farmaci efficaci per curare i nostri pazienti. Fino a poco tempo fa, il trattamento d’elezione era l’acido tranexamico. La sua efficacia, tuttavia, è molto ridotta: solo il 30% dei casi mostra miglioramenti. Per questo motivo non viene più usato come terapia di prima linea, ma è stato sostituito da altri farmaci come gli androgeni attenuati (danazolo), che incrementano la sintesi del C1-INH, il concentrato plasmatico di C1 inibitore umano o il lanadelumab”.
“Il miglior trattamento di cui disponiamo oggi - spiega Spadaro - è il lanadelumab, un anticorpo monoclonale umano anti-callicreina plasmatica”. Mentre gli androgeni attenuati, nonostante la comprovata efficacia, favoriscono l’insorgenza di numerosi effetti collaterali, anche gravi, il lanadelumab è ben tollerato e quasi privo di eventi avversi, fatta salva una lieve reazione nel sito di iniezione. La sua efficacia è altissima e presenta un basso potenziale di immunogenicità, cioè non determina la produzione di autoanticorpi diretti contro il farmaco. I benefici di questa terapia, somministrabile già a partire dai 12 anni, sono significativi e sono stati osservati indipendentemente dall’attività della malattia al basale, dal sesso o dall’indice di massa corporea del paziente e dal precedente uso di una qualsiasi profilassi a lungo termine. “Mi sento di affermare che la qualità della vita dei pazienti trattati con lanadelumab è decisamente migliorata”, sottolinea il professor Spadaro.
Le nuove conoscenze sulla fisiopatologia dell’HAE, quindi, hanno aperto la strada allo sviluppo di nuove terapie valide e con minori effetti collaterali. “Ci stiamo finalmente avvicinando a una profilassi efficace, sicura e facilmente somministrabile, anche dallo stesso paziente a domicilio”, conclude Spadaro. “Tutto questo migliorerà la gestione della malattia e la qualità della vita dei pazienti”.