I ricercatori sperano che la molecola non abbia soltanto un'utilità diagnostica, ma possa rivelarsi un potenziale bersaglio per specifiche terapie
La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) rappresenta una rara forma di malattia neuromuscolare congenita che è caratterizzata da una degenerazione piuttosto rapida dei muscoli scheletrici, lisci e cardiaci. Nei diversi pazienti, la DMD si manifesta in maniera clinicamente eterogenea, causando difetti funzionali che evolvono con una gravità non correlabile al genotipo della patologia. Per questo motivo, un gruppo di ricerca internazionale ha condotto uno studio per valutare l'impiego della proteina CD49d come potenziale biomarcatore non invasivo della progressione della DMD. I risultati dell'indagine, pubblicati sulla rivista Skeletal Muscle, sembrano dimostrare che attraverso questo metodo sia possibile ottenere un'efficace stratificazione dei pazienti in base alla gravità della malattia.
La distrofia di Duchenne è una patologia recessiva legata all'X ed è principalmente causata da mutazioni del gene DMD che determinano la completa assenza di una particolare proteina, chiamata distrofina. Tuttavia, risulta ormai evidente che alla degenerazione muscolare che contraddistingue la malattia contribuiscano anche altri fattori, tra cui l'insorgenza di una reazione immunitaria che comporta una diffusa infiammazione dei muscoli.
In relazione a questo aspetto, nei pazienti affetti da DMD è stata evidenziata un'alta circolazione di alcune cellule immunitarie, i linfociti T, che appaiono caratterizzate da un'elevata espressione di CD49d, una particolare molecola nota col nome di 'catena alfa-4 dell'integrina VLA-4'. In parole semplici, CD49d rappresenta una delle varie subunità che compongono la famiglia delle integrine, proteine essenziali per i processi d'interazione che avvengono tra le singole cellule o tra una cellula e l'ambiente che la circonda (matrice extracellulare).
Per determinare se sia possibile correlare il livello di CD49d alla severità dei sintomi della distrofia di Duchenne, gli autori dello studio hanno arruolato 75 pazienti con diagnosi di DMD confermata da test genetico e/o istologico. I soggetti sono stati poi suddivisi in vari gruppi, ognuno dei quali caratterizzato da una specifica gravità e progressione della patologia, rispettivamente valutate sulla base dell'abilità di camminare mostrata dai pazienti e del tempo trascorso fino alla perdita completa della deambulazione. Nell'indagine è stato incluso anche un ulteriore gruppo di controllo, costituito da 14 volontari sani. Tutti i soggetti coinvolti sono stati sottoposti ad una serie di esami volti ad accertare l'eventuale tasso di linfociti T positivi ad un alto livello di CD49d (linfociti T CD49dhi).
I risultati dello studio sembrano dimostrare che CD49d rappresenti un valido biomarcatore specifico per la distrofia di Duchenne, che può essere efficacemente quantificato per diagnosticare in modo accurato la gravità della malattia e prevederne la progressione. I ricercatori sostengono che l'analisi dei livelli di CD49d permetta la stratificazione dei pazienti con DMD in gruppi che presentano una prognosi omogenea, procedimento utile per migliorare la significatività dei dati ricavati da eventuali sperimentazioni cliniche.
I numerosi esami effettuati sui pazienti hanno permesso non soltanto di evidenziare la correlazione esistente tra l'alto numero dei linfociti T CD49dhi e la gravità della DMD, ma anche di rilevare la presenza di queste particolari cellule immunitarie all'interno di infiltrati infiammatori muscolari. I ricercatori hanno ipotizzato che la molecola CD49d, essendo un recettore della fibronectina, agisca sui linfociti T accelerando la loro migrazione verso i muscoli e contribuendo, quindi, ad un aumento del processo infiammatorio che danneggia il tessuto muscolare già compromesso dalla distrofia.
La tesi sembra essere confermata dall'esito di esperimenti condotti su linfociti T CD49dhi, che sono stati estratti dai pazienti con DMD per essere trattati con un anticorpo monoclonale anti-CD49d. Le cellule immunitarie hanno risposto al trattamento evidenziando una ridotta capacità di migrazione transendoteliale e di adesione ai miotubi (fibre muscolari primitive).
Secondo i ricercatori, i risultati di questi esperimenti sembrano suggerire che la molecola CD49d possa rappresentare un potenziale bersaglio per specifiche terapie che riducano il danno muscolare indotto dall'infiammazione e rallentino la progressione della malattia nei pazienti affetti da distrofia di Duchenne.