La prof.ssa Elena Pegoraro (Padova): “Grande speranza è riposta nei nuovi farmaci, che modificano l'andamento della malattia agendo sulla sua causa genetica”
PADOVA – Difficoltà nella corsa, fatica nel salire le scale o nell'alzarsi da terra: se un bambino appare pigro e sedentario, in un caso su 20mila questi potrebbero essere i campanelli d'allarme della distrofia muscolare di Duchenne. Una malattia terribile, ereditaria e progressiva, che priva i muscoli della forza necessaria a svolgere le normali attività della vita quotidiana.
L'esordio è precoce, intorno ai due anni e mezzo, ma il tempo fra i primi sintomi e la diagnosi è variabile, anche se si è gradualmente accorciato negli ultimi anni grazie alla sensibilizzazione di genitori e pediatri, e al miglioramento delle tecniche diagnostiche. E il tempo, per un bambino affetto da Duchenne, è essenziale: già dai 10-12 anni, infatti, si va incontro alla perdita della deambulazione e all'insorgere delle complicanze – insufficienza respiratoria e cardiomiopatia dilatativa – che portano al decesso, in media, intorno alla terza decade di vita. La diagnosi avviene sul DNA, tramite un semplice prelievo di sangue: con il calo dei costi per il sequenziamento, oggi la biopsia muscolare è diventata un esame di secondo livello.
La causa, come spiega la prof.ssa Elena Pegoraro, del Dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Padova, è una mutazione nel gene DMD che rende la cellula incapace di sintetizzare la distrofina, una proteina il cui compito è mantenere l'integrità del muscolo. “I pazienti Duchenne – circa 15mila in Europa – sono privi di questa proteina, presente invece, seppur in forma alterata, nella distrofia di Becker, che è caratterizzata infatti da un quadro clinico più lieve”.
Oggi la terapia palliativa si basa sui corticosteroidi, che agiscono a valle del deficit di distrofina consentendo in media 18 mesi di prolungamento della deambulazione autonoma e ritardando le complicanze. Indipendentemente dalla mutazione, la loro efficacia è dimostrata: ecco perché il trattamento precoce è così importante.
La gestione dev'essere comunque multidisciplinare e comprendere le figure del neurologo, cardiologo, pneumologo, nutrizionista, fisioterapista e fisiatra. Ma all'orizzonte ci sono altri tipi di farmaci, che modificano l'andamento della malattia agendo sulla sua causa: sono trattamenti specifici, terapie personalizzate in base alla mutazione del paziente.
L'unico in commercio in Italia è l'ataluren (Translarna), una molecola approvata dall'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) nel 2014 per i bambini portatori di una mutazione nonsenso (circa il 10% di quelli con Duchenne), di età superiore ai 5 anni e ancora deambulanti.
Per i portatori di delezioni (il 65% dei pazienti) sono in sperimentazione gli oligonucleotidi antisenso, sviluppati con la tecnica “exon skipping” (salto dell'esone): uno di questi è l'eteplirsen (Exondys 51), approvato negli Stati Uniti dalla Food and Drug Administration (FDA) lo scorso settembre.
L'interesse della ricerca per la Duchenne è molto alto: “Al momento ci sono circa 60 studi in corso nel mondo, che riguardano le terapie molecolari, le cellule staminali, le piccole molecole e la terapia convenzionale”, sottolinea la prof.ssa Pegoraro.
Anche la Fondazione Telethon ha finanziato diversi studi di storia naturale, quasi tutti conclusi e pubblicati, che hanno coinvolto 13 centri italiani riuniti sotto il nome Rete DMD Italia. Il loro scopo è quello di identificare le misure di outcome più adatte a valutare l'efficacia di una nuova molecola e seguire l'andamento di malattia. “Questo sforzo da parte del mondo scientifico non deve stupire: si tratta di una malattia invalidante, con alti costi sociali, che non consente una vita autonoma, per cui il paziente necessita di un'assistenza continua da parte dei caregiver”.