Stampa

“Dobbiamo essere noi disabili per primi a considerarci delle persone normali, niente ci deve essere regalato”. E rivolto ai genitori: “Non smettete di pensare ad un avvenire per i vostri figli”

“Al momento della diagnosi Marco aveva due anni, i medici mi hanno detto: ha la distrofia muscolare di Duchenne, smetta di fare programmi per l’avvenire di suo figlio”. Questo mi ha raccontato pochi giorni fa, durante il convegno internazionale sulla malattia organizzato da Parent Project a Roma, la mamma del piccolo Marco, un bambino come tanti, che di stare fermo non voleva saperne e come tutti i bimbi alla sua età voleva giocare e correre per la sala. La sua particolarità è quella di avere una malattia rara, la distrofia muscolare di Duchenne. I suoi genitori non hanno dato retta ai medici e non hanno smesso di fare progetti, sanno che il suo futuro potrà essere particolare, ma Marco un futuro lo avrà, i suoi genitori non smetteranno di pensare al domani e insegnare a lui a fare lo stesso.
Quel domani era lì davanti agli occhi di tutti; al congresso c’erano ragazzi di ogni età, alcuni addirittura avevano provato l’esperienza del Bungee Jumping – proprio quella pratica di attaccasi una fune e lanciarsi nel vuoto, in questo caso con tutta la carrozzella! -  c’erano anche gli amici di Paolo Paoletti di Genova, un uomo con questa malattia che oggi ha 50 anni, sta scrivendo un libro e progetta un viaggio negli Stati Uniti dopo tanti altri viaggi già fatti. Erano lì, insieme a centinaia di altre persone di tutta Europa, per conoscere le ultime novità della ricerca, che prosegue su tante strade e segna traguardi important. C'erano i migliori ricercatori e specialisti al Convegno, eppure alla fine l’intervento più applaudito è stato quello di un ragazzo di 21 anni, Luca Buccella, che proprio 'al futuro' ha dedicato il suo intervento. “Salve a tutti, sono Luca Buccella, ho ventun'anni e sono qui per dire ai ragazzi affetti da Duchenne e ai loro genitori, che un futuro esiste. E sento di poterlo dire in prima persona, perché il futuro che avevo iniziato a pianificare fin da quando avevo otto anni è ora divenuto il mio presente. Per dire a tutti che anche noi “meno fortunati” possiamo avere una vita piena".

"A proposito di questo: quante volte, in numerose campagne e iniziative di beneficenza, sentiamo l'espressione “meno fortunato di noi” detta in riferimento a noi disabili? Personalmente mi sento fortunato in diversi campi, e poi, esiste davvero una cosa come la fortuna? La verità è che la fortuna serve a ben poco se non si ha la volontà. Con la volontà, la fortuna diventa un semplice pezzo d'argilla da plasmare a nostro piacimento. Dobbiamo essere noi disabili i primi a considerarci le persone normali che siamo: la rivoluzione deve partire prima di tutto da dentro di noi. Cominciare a ritenerci possibili di avere una vita soddisfacente è il solo modo per mostrare al mondo che ne siamo capaci. Ma nemmeno dobbiamo pensare che essendo disabili tutto ci sia dovuto: dobbiamo guadagnarci le possibilità, niente ci deve essere regalato, abbiamo gli stessi diritti e doveri di ogni essere umano.
Disabili solo nel corpo, non nell'animo: la Duchenne non determina le persone che siamo, non ci rende peggiori, né tantomeno migliori o con più diritti del prossimo; è però una parte di noi con cui dobbiamo convivere. Non rappresenta ciò che siamo, ma può essere vista quasi come un amico, a volte fastidioso, con cui dobbiamo imparare a convivere nonostante gli sgarbi e le litigate. Non fa parte di noi, ma ci compenetra, e, se vissuta positivamente, può anche aiutarci a migliorare.
Attenzione: non è la malattia a migliorarci, ma solo il modo in cui noi la viviamo e affrontiamo. Non fate mai l'errore di pensare che la nostra disabilità ci renda persone migliori degli altri, o tantomeno speciali. Siamo unici, ma d'altronde ogni essere umano lo è. Non vogliamo essere visti come degli essere puri nello spirito, dei portatori di luce temprati nell'animo da anni di sacrifici: la nostra malattia non determina il nostro futuro, siamo noi a doverlo fare. Possiamo essere qualsiasi cosa, se ci convinciamo di poterlo essere. E per poter riuscire a diventare le persone che vogliamo essere, fare piani per il futuro è essenziale.
Credo, per quanto riguarda questo punto, di dovermi rivolgere principalmente ai genitori. Siete voi i primi a dover crescere i vostri figli, dando loro la certezza che un futuro esiste, perciò esso va pianificato e considerato. Perché, come per qualunque persona sulla faccia della terra, fin da subito bisogna iniziare a costruire le fondamenta su cui edificare il proprio avvenire.

Ho visto fin troppe persone arrendersi all'idea che sarebbe stato inutile pensare ad un avvenire per i propri figli, convinti che non avrebbero superato una certa età. Io, però, penso che questo possa valere per qualsiasi individuo, perché per nessuno c'è una totale certezza nel domani. Abbandonare ogni speranza convinti che non ci sia un futuro per i malati di Duchenne, sarebbe come smettere di mangiare e bere, pensando che prima o poi la vita finirà e niente potrà cambiare questo fatto. Ma la vita va pianificata, i sogni vanno inseguiti e i rapporti umani vanno coltivati, indipendentemente da quale possa essere il proprio futuro. Altrimenti si rischia di arrivare ad avere vent'anni, e ritrovarsi svuotati, senza passioni e interessi, senza affetti: dunque, senza presente.
Devo ai miei genitori il fatto di non essermi mai sentito diverso: come hanno fatto loro, permettete ai vostri figli di rischiare, di subire delusioni, di assaporare la vita in ogni suo aspetto, negativo o positivo, e vedrete che i frutti si vedranno, e loro ve ne saranno grati. Tenete a mente che, prima ci si rende conto di essere normali e di poter vivere una vita piena, e prima questo potrà avverarsi. E nemmeno si può passare la propria esistenza a sperare in un miracolo, in un rimedio prodigioso che rimetta tutto a posto.

Negli ultimi tempi, la ricerca ha fatto passi da gigante, arrivando ai trial sull'uomo, dimostrando che forse una cura non è poi così lontana. Ma cosa succederebbe se una persona passasse la vita ad aspettare una cura che finalmente possa permettergli di vivere una vita cosiddetta normale, qualora questa cura non dovesse arrivare nei tempi sperati? Succederebbe questo: una vita sprecata nell'attesa, una vita non realmente vissuta. È necessario giungere alla consapevolezza che possiamo vivere una vita piena, felice, pregna di significato e soprattutto soddisfacente, che il male che ci affligge forse non è venuto solo per nuocere.
Bisogna cercare di abbracciare la propria condizione, e a quel punto si cominceranno a vederne anche i vantaggi, che, credetemi, sono di pari numero rispetto agli inconvenienti. Come dice spesso Pat Moeschen, riprendendo la celebre frase della pubblicità dell'American Express, “Membership has its privileges”. Abbiamo i parcheggi riservati, non dobbiamo fare le file ai parchi di divertimento, i biglietti del cinema costano meno. Prima di insultare un disabile faccia a faccia la gente ci pensa due volte. Oppure, in una relazione un disabile può avere l'assoluta certezza che la persona con cui sta lo ama per ciò che è. Una volta capito che la nostra disabilità non è un ostacolo alla felicità,  se la cura dovesse arrivare sarebbe comunque un bene. Ma nel caso ciò non dovesse accadere, non sarebbe un problema, perché saremmo comunque riusciti a capire che, cura o non cura, siamo e resteremo gli artefici del nostro futuro”.

Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento. Maggiori informazioni