Il prof. Matteo Di Minno (Napoli): “Il 18-20% delle articolazioni che non presentano sintomi nascondono, in realtà, microsanguinamenti”
L’emofilia è una malattia rara di origine genetica che provoca un difetto di coagulazione del sangue. Esistono due forme di emofilia: la A, più frequente (80% circa dei casi), in cui manca il fattore VIII, e la B, in cui è carente il fattore IX. I geni che codificano per i fattori della coagulazione VIII e IX sono situati sul cromosoma X, dunque l’emofilia colpisce soprattutto i maschi, anche se le donne portatrici possono presentare, in alcuni casi, manifestazioni più leggere della malattia.
In Europa sono oltre 32.000 le persone emofiliche. Secondo gli ultimi dati (2018) diffusi dal Registro Nazionale Delle Coagulopatie Congenite dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono 10.554 i pazienti con malattie emorragiche congenite: di questi, 4.109 sono affetti da emofilia A e 882 da emofilia B. I sintomi sono praticamente identici per entrambe le forme della patologia, e consistono in emorragie che possono presentarsi spontaneamente o a seguito di traumi, ferite e operazioni chirurgiche.
Tra le principali complicanze di questa malattia vi sono gli emartri, ossia sanguinamenti che avvengono all’interno delle articolazioni e che, se non trattati in modo adeguato, possono portare ad artropatia cronica e disabilità. Per questo motivo, è di fondamentale importanza l’utilizzo dell’ecografia per il monitoraggio del benessere articolare dei pazienti emofilici, nel tentativo di evidenziare precocemente eventuali microsanguinamenti o alterazioni sub-cliniche che possono riguardare anche articolazioni apparentemente sane e asintomatiche. Per approfondire l’argomento, recentemente trattato durante l’evento virtuale “I frutti dei nostri valori: impegno e passione in Ematologia”, promosso da Takeda Italia, abbiamo intervistato il prof. Matteo Di Minno, del Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali dell’Università “Federico II” di Napoli.
Prof. Di Minno, da quando tempo si fa ricorso all’ecografia nei pazienti emofilici?
Risalgono agli anni ’90 le prime esperienze di utilizzo dell’ecografia per diagnosticare la presenza di emartri negli emofilici. Da qualche anno, l’ecografia è stata introdotta nella valutazione periodica dei pazienti per studiare anche lo stato delle articolazioni apparentemente sane. Si è scoperto, così, che il 18-20% delle articolazioni che non presentano sintomi nascondono, in realtà, microsanguinamenti e segni di attività della malattia che possono essere di varia entità.
Che cosa si riesce a percepire attraverso l’utilizzo di questo strumento?
Mediante ecografia si è in grado di valutare eventuali sanguinanti subclinici. Si tratta di sanguinamenti che non danno apparenti segni clinici ma che possono determinare erosioni della cartilagine e danni ossei, e che possono accompagnarsi a ipertrofia sinoviale. Sono questi i segnali predittivi di un peggioramento della malattia.
Quale l’utilità di questo tipo di esame ecografico?
Si tratta di uno strumento fondamentale per il monitoraggio dell’emofilia e per aggiustare la terapia in corso, permettendo così un approccio sempre più personalizzato, con il fine ultimo di migliorare la qualità di vita del paziente e scongiurare le complicanze legate alla malattia.
Dal punto di vista terapeutico, su quali aspetti può incidere l’esito di una valutazione ecografica?
Fondamentalmente, il monitoraggio ecografico è utile per comprendere se il trattamento sia adeguato o meno per il singolo paziente. La terapia, ad esempio, può essere aggiustata in base a variazioni ponderali o alla crescita, soprattutto in caso di pazienti in età pediatrica o adolescenziale; oppure vi sono modiche che devono essere apportate per un cambiamento nello stile di vita, più o meno sedentario, o che sono dettate dalla variabilità personale nella risposta al farmaco (variabilità farmacocinetica). In sintesi, il controllo ecografico permette una rilettura dell’approccio terapeutico stabilito in sinergia da ematologi, fisioterapisti e ortopedici.
Ogni quanto tempo il paziente con emofilia deve sottoporsi a controllo ecografico?
Non esiste un tempo standard. Le tempistiche devono essere ‘cucite’ su misura, in base alla situazione clinica del singolo paziente, e modificate in corso d’opera se ritenuto necessario, aumentando o diminuendo la frequenza dei controlli in base all’esito ecografico.
L’ecografia, infine, è utile anche per stabilire la natura degli episodi di dolore riportati dai pazienti emofilici?
Certamente. L’esame ecografico costituisce uno strumento fondamentale per distinguere tra dolore legato a sanguinamenti e dolore dovuto a fenomeni artritici: questo è un aspetto imprescindibile per valutare le cure più appropriate.