Il dottor Matteo Di Minno (Napoli): “Grazie a questo nuovo tipo di farmaci, a lunga emivita, è possibile ambire all’obiettivo di zero sanguinamenti”
Per comprendere al meglio l’impatto di una malattia come l’emofilia sulla qualità della vita di chi ne è affetto è sufficiente pensare che la profilassi necessaria per ridurre il rischio di emorragie richiede infusioni per via endovenosa da effettuare tre o quattro volte alla settimana. L’emofilia, infatti, è dovuta alla carenza di specifiche proteine, note come fattori della coagulazione: minore è il livello di questi fattori in circolo, peggiore è il quadro clinico della patologia, la cui più classica manifestazione è costituita da sanguinamenti, anche spontanei, soprattutto a carico delle articolazioni.
“Nel tempo, la terapia e la gestione dell’emofilia sono cambiate in maniera radicale”, spiega il dottor Matteo Di Minno, del Centro di Riferimento Regionale per le Emocoagulopatie dell’Università degli Studi “Federico II” di Napoli. “Molti anni fa, i pazienti erano trattati con trasfusioni di sangue, poi si è passati alle trasfusioni di plasma, poi sono arrivati i farmaci plasmaderivati e, infine, quelli a base di fattori ricombinanti. Solo in anni più recenti c’è stata una svolta nel percorso terapeutico, grazie all’avvento dei farmaci ricombinanti a lunga emivita. Tutto ciò ha prodotto enormi vantaggi per i pazienti affetti da emofilia B, [legata alla carenza di fattore IX, N.d.R.], ma ha avuto un impatto rilevante anche per coloro che sono affetti da emofilia A [dovuta alla carenza di fattore VIII, N.d.R.], sia in termini di maggior protezione dai sanguinamenti che di riduzione del numero di infusioni”.
Nel caso dell’emofilia A, come dimostrato dagli studi clinici registrativi, i moderni prodotti a base di fattore (FVIII) ricombinante ad emivita prolungata, come il farmaco damoctocog alfa pegol, sono estremamente sicuri ed efficaci nel ridurre in maniera sensibile il rischio di sanguinamento nei pazienti: man mano che il follow-up dei pazienti si allungava, si è potuto osservare un ulteriore miglioramento della performance delle molecole a lunga emivita. Tuttavia, l’emofilia rappresenta un terreno di gioco molto particolare, che rende difficile realizzare trial clinici controllati. “Trattandosi di una malattia rara, diventa molto complesso identificare un braccio di controllo e spesso è difficile raggiungere una numerosità campionaria adeguata”, spiega Di Minno. “Inoltre, bisogna sempre considerare la variabilità nella gravità delle manifestazioni emorragiche tra paziente a paziente”.
Data la difficoltà nel disegno e nella conduzione di studi clinici per questa patologia, è importante riconoscere un grande valore ai dati che derivano dal contesto di “real-world evidence”, cioè le evidenze riscontrate nella pratica clinica di tutti i giorni. In sintesi, i dati real-world sono ottenuti in maniera dinamica, seguendo il paziente nel tempo, secondo i criteri della pratica clinica. “Tutti i pazienti rientrati nell’esperienza di real-world evidence del Centro di Riferimento Regionale per le Emocoagulopatie dell’Università “Federico II” di Napoli già ricevevano un trattamento per la loro patologia e sono passati a una nuova terapia a emivita prolungata”, precisa ancora Di Minno. “Le informazioni così raccolte ci hanno permesso di arricchire e completare i risultati negli studi registrativi, confermando, nella pratica clinica, gli ottimi risultati osservati in queste sperimentazioni”.
Intervenuto al recente Convegno annuale dell’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE), il dottor Di Minno ha condiviso i primi risultati emersi dall’utilizzo di damoctocog alfa pegol nella pratica clinica quotidiana. “Abbiamo potuto osservare direttamente cos’è successo quando individui che già erano in profilassi hanno iniziato una nuova terapia con questo farmaco a lunga emivita e il risultato è andato oltre ogni aspettativa”, spiega l’esperto. “È stato possibile osservare una riduzione del numero di sanguinamenti e un abbattimento delle infusioni nei pazienti, un aspetto, quest’ultimo, che comporta un notevole risparmio anche per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Gli studi di real-world evidence ci stanno facendo capire che i farmaci a lunga emivita stanno diventando il nuovo standard terapeutico per l’emofilia. Solo qualche anno fa, i pazienti, per il trattamento della loro patologia, erano costretti a sottoporsi a infusioni ravvicinate, a volte a giorni alterni, ma con queste nuove molecole abbiamo ottenuto una cadenza più dilazionata delle infusioni. È un beneficio straordinario”.
A questo si aggiunge un profilo farmacocinetico di gran lunga migliore rispetto alle terapie precedenti: infatti, studiando i livelli del FVIII tra un’infusione e l’altra, ci sono evidenze che suggeriscono come con damoctocog alfa pegol, nelle 48 ore successive all’infusione, i pazienti mantengano livelli di FVIII superiori al 20%. “Ciò implica che nei primi due giorni dopo l’infusione il paziente ha la possibilità di svolgere normalmente tante attività, perché al di sopra di questa soglia di FVIII la protezione è veramente alta”, spiega ancora Di Minno. I dati derivati dalla real-world evidence su un numero sempre crescente di individui con emofilia confermano quindi la bontà dei dati ricavati dagli studi clinici registrativi. “Sebbene i pazienti siano stati ben gestititi anche in precedenza, con il passaggio a queste nuove terapie a lunga emivita è importante ambire all’obiettivo di zero sanguinamenti”, conclude il dottor Di Minno.
Hai delle domande sull’emofilia? Consulta il dottor Matteo Di Minno attraverso il servizio gratuito di OMaR “L’esperto risponde”.