Chi soffre di emofilia A è geneticamente carente di uno dei fattori della coagulazione, il Fattore VIII. Per reintegrare ciò che il corpo non produce, il paziente emofilico deve sottoporsi a infusioni periodiche, anche fino a 120 l’anno, per controllare sanguinamenti ed emorragie.
I farmaci utilizzati per queste infusioni sono di due tipi: farmaci ricavati dal plasma umano, oppure creati in laboratorio con le biotecnologie.
In passato i prodotti plasmaderivati hanno creato ai pazienti non poche problematiche. Per quanto oggi si tratti di medicinali completamente sicuri, in molti casi i genitori di bambini affetti con emofilia preferiscono azzerare ogni rischio, optando per l’utilizzo dei prodotti ricombinanti.
Ma le terapie non sono prive di problemi: circa il 30% dei malati con emofilia A (il tipo più frequente, che colpisce l’85% di tutti gli emofilici) sviluppa anticorpi contro questo fattore di coagulazione, rendendo le terapie inefficaci.
Uno studio internazionale pubblicato sulla rivista scientifica Blood e guidato dagli esperti del Policlinico di Milano ha recentemente scoperto che il farmaco biotecnologico è il più immunogenico dei due, ovvero scatena di più la reazione del sistema immunitario del paziente, almeno nei primi mesi di terapia.
Lo studio SIPPET, i cui risultati sono appena stati resi pubblici dalla Società americana di ematologia (ASH), ha come coordinatori e primi autori Flora Peyvandi, responsabile del Centro Emofilia e Trombosi 'Angelo Bianchi Bonomi' del Policlinico di Milano, e Pier Mannuccio Mannucci, direttore scientifico della struttura. Insieme a loro hanno partecipato alcuni centri italiani (Università degli Studi di Milano, Azienda Ospedaliera di Padova, Policlinico Umberto I di Roma) insieme ad esperti di ospedali e università di tutto il mondo (Egitto, India, Iran, USA, Messico, Sud Africa, Spagna, Brasile, Austria, Arabia Saudita, Cile, Turchia, Argentina, Olanda). La ricerca è stata supportata, tra gli altri, dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e dal Ministero della Salute italiano. I ricercatori hanno studiato oltre 250 pazienti (un numero alto, data la rarità della malattia) di 14 Paesi del mondo, che non erano mai stati trattati prima con un fattore di coagulazione, e li hanno seguiti per tre anni.
"Si tratta del primo lavoro scientifico randomizzato, che confronta cioé nel modo più obiettivo possibile la terapia con prodotti ricombinanti o plasma-derivati - commentano gli autori attraverso il comunicato stampa diffuso dal Policlinico di Milano - parliamo di bimbi con meno di 6 anni, ma che in media hanno 14 mesi di vita: i risultati dello studio hanno grandi implicazioni nella scelta di quale tipo di prodotto vada somministrato ai pazienti, dato che lo sviluppo degli anticorpi è uno dei più grossi problemi nella gestione dell'emofilia A". Di solito, aggiungono gli esperti, "questa 'resistenza' alla terapia si sviluppa entro le prime 20 iniezioni con il fattore VIII: questo significa che se iniziassimo le terapie nei bambini con emofilia con il prodotto plasma-derivato invece che con il fattore ricombinante, potremmo dimezzare la resistenza alla terapia e garantire a molte più persone con emofilia una cura adeguata". Peraltro i prodotti plasma-derivati sono meno costosi di quelli ricombinanti: questo porterebbe non solo ad un consistente risparmio per i sistemi sanitari, ma permetterebbe anche un migliore accesso alle cure nei Paesi più svantaggiati dal punto di vista economico. Va però sottolineato che il fattore ricombinante si può produrre sempre, mentre quello plasma-derivato ha bisogno di donazioni di sangue, e quindi si può ricavare in quantità inferiori. "Per questo - concludono gli esperti del Policlinico - avremo sempre bisogno di entrambi i tipi di fattore VIII".