Il dottor Alfredo Sebastiani (Roma): “Occorre saper riconoscere queste patologie e distinguere una forma dall’altra, per poter applicare il giusto trattamento”
Sono racchiuse in un unico gruppo definito dall’etichetta “interstiziopatie polmonari” (IP) e sono patologie respiratorie che devono essere riconosciute e trattate nella maniera adatta, altrimenti le conseguenze da esse determinate rischiano di protrarsi a lungo con gravi danni all’organismo e, in maniera particolare, al polmone, l’organo bersaglio di queste malattie. Il termine “interstiziopatie” fa infatti riferimento all’interstizio polmonare, cioè allo spazio fra le vie aeree e il sangue, fondamentale per lo scambio di ossigeno: l’elenco delle affezioni che coinvolgono questo tessuto è piuttosto lungo ed eterogeneo.
“Esistono fino a quasi duecento tipologie di interstiziopatia, differenti per frequenza, presentazione clinica e risposta alle terapie”, afferma il dott. Alfredo Sebastiani, Responsabile dell’U.O.S.D. Day Hospital Pneumologico e Interstiziopatie Polmonari all’Ospedale San Camillo-Forlanini di Roma. “Alcune sono molto rare, altre lo sono di meno, come la fibrosi polmonare idiopatica (IPF), che conta circa 10-15mila pazienti in Italia. Ciò significa che, nel corso della pratica medica, qualsiasi pneumologo può imbattersi ogni mese in un caso di malattia. Tuttavia, la presa in carico delle IP non è semplice e richiede una competenza specifica”.
INTERSTIZIOPATIE POLMONARI: CAUSE E PRESENTAZIONE CLINICA
Sebbene il minimo comun denominatore delle interstiziopatie polmonari sia la presenza di processi infiammatori e proliferativi che portano alla deposizione di materiale fibrotico nel polmone, le cause scatenanti sono numerose (e non sempre note). “Alcune interstiziopatie si manifestano secondariamente a patologie autoimmuni, come l’artrite reumatoide, la sclerosi sistemica o le connettiviti miste; altre possono insorgere in seguito all’assunzione di farmaci, fra cui l’amiodarone o certi trattamenti oncologici dei linfomi, delle leucemie o dei tumori del polmone, che comprendono molecole in grado di provocare una fibrosi e, di conseguenza, una interstiziopatia; infine, alcune possono essere dovute all’inalazione di polveri, spore e muffe”. A quest’ultimo sottogruppo appartengono le polmoniti da ipersensibilità, di cui fanno parte la cosiddetta “polmonite del contadino”, causata dall’inalazione di polveri organiche contenenti endotossine batteriche, e la sindrome tossica da polveri organiche (ODTS, organic dust toxic syndrome).
La difficoltà di respirare è un sintomo condiviso da molte IP e può accompagnarsi a tosse, febbre o dolori articolari, tuttavia ogni malattia può presentare tratti tipici a seconda che si manifesti in forma cronica o acuta. Pertanto è fondamentale un preciso inquadramento diagnostico.
DIAGNOSI
“Il processo diagnostico esige una TAC torace ad alta definizione (TACD), un esame imprescindibile nelle interstiziopatie polmonari perché ci permette di vedere con accuratezza l’interstizio”, aggiunge Sebastiani. “È un esame radiologico di semplice esecuzione, perché non richiede somministrazione di un mezzo di contrasto e non ha controindicazioni per età o per patologia, ma deve essere letto e interpretato da un radiologo esperto, in grado di distinguere lesioni come quelle ‘a favo di alveare’, che possono indirizzare verso un quadro di fibrosi specifica e irreversibile, da quelle ‘a vetro smerigliato’, nelle quali l’infiammazione può essere reversibile. Ecco il motivo per cui è fondamentale includere la presenza di un radiologo esperto nell’equipe multidisciplinare dedicata alle IP”.
Poiché le cause scatenanti di queste patologie variano ampiamente, è opportuno aggiungere anche alcuni esami di laboratorio per andare alla radice del problema. “La ricerca di autoanticorpi specifici, come gli anticorpi anti-ANA, anti-ENA o anti-ANCA, può aiutare a capire se il danno polmonare è provocato da una malattia autoimmune”, precisa l’esperto romano. “In altri casi, invece, può rendersi necessaria l’esecuzione di un lavaggio bronco-alveolare per appurare se i processi infiammatori abbiano provocato all’interno degli alveoli un accumulo di cellule in grado di suggerire una diagnosi particolare”.
Non va trascurata l’importanza di una completa anamnesi clinica, riportante notizie sulle abitudini e gli stili di vita del paziente, sui farmaci che assume e le sue comorbilità, ma anche sulla familiarità e sulla professione perché l’esposizione ambientale, come nel caso della “polmonite del contadino”, può giocare un ruolo cruciale. “Se tutto ciò non porta a una diagnosi presuntiva − continua Sebastiani – per i pazienti più giovani, e possibilmente senza gravi controindicazioni (insufficienza respiratoria in ossigenoterapia, gravi cardiopatie, etc.), può essere indicata una biopsia polmonare, che permette di ottenere informazioni precise sulle alterazioni strutturali del polmone”.
UN PANORAMA TERAPEUTICO IN CONTINUA EVOLUZIONE
La diagnosi delle interstiziopatie polmonari è quindi un processo complicato, che può condurre a una soluzione diversa da quella ipotizzata in partenza ma che ha un grande valore per il paziente, dal momento che la scelta dell’uno o dell’altro trattamento fa la differenza. “Nell’ultimo decennio l’approccio terapeutico alle interstiziopatie polmonari è mutato in maniera radicale”, osserva Sebastiani. “Ad esempio, sono disponibili in commercio farmaci specifici per la fibrosi polmonare idiopatica (IPF) grazie a cui abbiamo trattato con successo migliaia di pazienti. La prognosi per questa malattia è migliorata, con in media un raddoppio della sopravvivenza, ma quello che funziona in alcune IP può non avere utilità in altre, perciò occorre concentrarsi sullo sviluppo di percorsi diagnostico-terapeutici specifici e sostenibili”.
La pandemia di COVID-19 ha temporaneamente paralizzato alcuni circuiti sanitari un tempo ben oleati ma in Italia è presente almeno un centro di riferimento per le IP in ogni Regione: è perciò prioritario collegare tali realtà ai numerosi medici e specialisti ambulatoriali che possono trovarsi a gestire queste malattie sul territorio. “L’esperienza ci ha aiutato a comprendere che i farmaci che si usano per l’IPF possono essere utilizzati anche per interstiziopatie polmonari secondarie, in corso di malattia autoimmune o in corso di polmoniti da ipersensibilità cronica, come quelle che spesso colpiscono i contadini o gli allevatori di piccioni o animali da cortile”, conclude Sebastiani. “Se la polmonite da ipersensibilità cronica non cessa con l’allontanamento dall’allergene scatenante si inizia a creare la fibrosi, che va affrontata con gli stessi farmaci usati per l’IPF. Questo ha allargato le possibilità terapeutiche”.
Nelle interstiziopatie polmonari l’appropriatezza della terapia e le speranze dei pazienti più gravi di tornare a stare meglio e vivere a lungo dipendono, quindi, dalla qualità del processo diagnostico e da un’adeguata presa in carico medica. Se tempestivamente riconosciute, queste patologie possono essere rallentate, o addirittura fermate, nella loro progressione, ma ciò può accadere solo nel contesto di appositi gruppi multidisciplinari, allestiti presso centri aggiornati sia sulle metodiche diagnostiche che sui trattamenti di ultima generazione.