La ‘bestia nera’: così Giovanna chiama la malattia che gli ha portato via prematuramente il papà e che un giorno, quando ormai pensava di non incontrarla mai più, si è affacciata anche nella sua vita. La bestia contro cui ha dovuto combattere Giovanna è una malattia rara e probabilmente sottodiagnosticata: la fibrosi polmonare idiopatica, una malattia polmonare non neoplastica, caratterizzata dalla formazione di tessuto cicatriziale all'interno dei polmoni, in assenza di cause note. L’età media dell’esordio è dopo i 60 anni ma a Giovanna, come al suo papà, la malattia ha bussato molto prima. “Mio papà morì nell’88, a 58 anni, di fibrosi polmonare idiopatica – ci ha raccontato Giovanna in una lunga lettera - Da allora mai e poi mai avrei pensato di veder ricomparire nella mia vita questa brutta malattia che devasta il fisico e l' anima così prepotentemente perchè toglie ciò che è vita: il respiro. Io feci il mio personale incontro con la "bestia nera" nel lontano marzo 1994. Ero incinta, mia figlia sarebbe dovuta nascere dopo circa 20 giorni".
"Una notte mi venne un violento ed insistente attacco di tosse che mi portò in dispnea - racconta - Allarmata, mi recai con mio marito all'ospedale dove avevo deciso di partorire. Dopo una radiografia, i medici mi diagnosticarono una bronchite trascurata e la dispnea aggravata dal pancione che ormai premeva sul diaframma. Uno sciroppo, un pò di aerosol e morta lì”. “Passarono gli anni – racconta - continuava la solita tossetta e inconsciamente si insinuavano in me i primi dubbi che però assolutamente rifiutavo di prendere in considerazione. Nel marzo 1997 decisi di andare da un carissimo medico, amico di famiglia. Egli auscultandomi il torace percepì che qualcosa non andava. Mi fece fare un rx. Nel marzo del ‘97, la prima sconvolgente sentenza: "Giovanna, mi sa che sia come il papà". Lì il mondo mi crollò addosso”. Intanto erano passati 3 anni dalla nascita della piccola Elena e da quel primo violento attacco di tosse.
“Il medico – racconta Giovanna - mi consigliò di andare subito per tutti gli accertamenti nel reparto di Pneumologia di Treviso diretto dal Prof. Santelli. Nel frattempo recuperai la famosa radiografia fatta tre anni prima. Le radiografie si potevano sovrapporre. E in quell'ospedale, all'epoca, non si erano accorti di nulla. Non sarebbe cambiato un granché, anzi forse è stato meglio così perchè almeno ho vissuto con serenità i primi tre anni di vita di Elena, l'ho allattata per tanti mesi ed ho continuato la mia vita. Comunque i miei complimenti a quei medici”.
Dopo molteplici esami il Prof. Santelli non potè che diagnosticare una fibrosi polmonare idiopatica bilaterale, progressiva ed irreversibile con conseguente grave insufficienza respiratoria di tipo restrittivo. E rieccola la "bestia nera".
Il mio futuro, ovviamente, si fece più scuro, le prospettive le conoscevo fin troppo bene. In ogni modo, metabolizzato il colpo, non mi abbattei più di tanto; continuai la mie attività quotidiane, insegnavo danza e ci riuscivo bene, facevo i miei quattro piani di scale, abituandomi a convivere con il mio modo di respirare, con questa "spada di Damocle" e attendendo l'inevitabile e da me conosciuto peggioramento che mi auguravo arrivasse il più tardi possibile. L'allarme di codice rosso arrivò invece prima del voluto”. L’11 settembre 2001, data infausta, i valori erano andati al di sotto del limite di guardia.
“La pacchia era finita – dice Giovanna - Da lì il Prof. Santelli iniziò seriamente a parlarmi di trapianto, possibilità che io, in quel momento, rifiutai per paura e perchè non volevo accettare di essere peggiorata fino a quel punto. Dopo avermi convinta, si mise subito in contatto con il reparto di Chirurgia Toracica. Incontrai il Prof. Sartori che mi tracciò la via che stavo per intraprendere, premettendo subito che non sarebbe stata una passeggiata. Nello stesso tempo mi diede una forte speranza perchè mi presentavo in condizioni fisiche molto buone che consentivano di avere tempo sufficiente. Dopo l'effettuazione di tutti gli esami entrai definitivamente in lista d'attesa. Nel frattempo avevo iniziato ad usare l'ossigeno. Non dimenticherò mai il giorno che portarono i bombolotti a casa e gli occhi di mio fratello quando mi vide con le cannucce sul naso. Per il momento aveva vinto ancora lei, "la bestia nera". Da quel momento però, le giurai una dura battaglia. ‘La scalata di una montagna è faticosissima – è il motto di Giovanna - ma quando arrivi in cima, il panorama è indescrivibile’.
Da quel giorno io entrai nel tunnel della mia nuova vita. Era buio e la luce non si poteva vedere. Le possibilità di farcela c'erano, ma non la certezza e non la sicurezza di avere la forza di non mollare perchè purtroppo io sapevo come sarebbe evoluta la cosa. L'immagine di mio papà , più sfortunato di me, di quanto ha sofferto non è mai stata così limpida come in quel periodo. Mai e poi mai ho parlato tanto con lui come nei giorni più bui e di maggior sconforto. Per rallegrarmi, mi convincevo, vedendolo sorridermi, che da lassù, da buon organizzatore che è sempre stato, aveva già preparato tutto e sapeva che senz'altro sarebbe arrivato al momento giusto per me un organo donato da non si sa chi con un gesto d'amore, di generosità e di altruismo inestimabili”.
La svolta per Giovanna arrivò il 5 marzo del 2003, alle 4 di mattina. “ Signora – disse la voce al telefono - sono la dottoressa Loy , ci è stata segnalata una donatrice compatibile con lei. Io parto per Torino, lei arrivi al Policlinico alle 8.30”. Ho chiuso gli occhi ed ho visto realmente la luce all'uscita del tunnel".
"Mi sono addormentata malata in sala operatoria alle 11 e 30 – racconta Giovanna – e mi sono svegliata alle 16 guarita”. Poi naturalmente la ‘scalata della montagna’ non era finita, bisognava aspettare e scongiurare il rigetto. “Rigetto mi evoca la parola rifiuto – dice - Come si fa a rifiutare un dono del genere? Io fin dalle prime ore parlavo ai miei "bambini bianchi" dicendo loro di non far la lotta col nuovo arrivato, ma di giocarci insieme. Mi hanno sempre ascoltato e tuttora mi ascoltano. Il 2 maggio mi dissero " Signora, può tornare a casa ".
Ho percorso il corridoio del reparto senza mai guardarmi indietro. Mi lasciavo alle spalle un periodo della mia vita difficilissimo, la mia nuova vita aveva inizio da lì. Arrivata a casa, ho inondato di luce e di lacrime tutte le stanze. Non vi dico a rivedere la mia bimba. E' per lei , per mio marito, per tutte le persone che mi vogliono bene che ho lottato fino alla fine con la "bestia nera" Le avevo giurato battaglia fin dall'inizio. Essa aveva già vinto una volta: 1 a 1 e partita finita. La mia montagna era diventata una collina. Ora, a distanza di sette anni, è un dosso e la mia vita è meravigliosa.”.