Identificare i pazienti a maggior rischio potrebbe servire ad anticipare il trapianto
Un nuovo studio pubblicato su The Lancet Respiratory Medicine ed effettuato sul genoma di 1.500 pazienti affetti da fibrosi polmonare idiopatica, ha individuato numerosi geni associati a questa rara e devastante malattia dei polmoni. Tra questi la variante di un gene, chiamato TOLLIP, direttamente connessa ad un aumento del rischio di mortalità negli individui colpiti da tale patologia.
Lo studio ha dimostrato che tale variante genica comporta una diminuzione dell'espressione della proteina TOLLIP nei polmoni dei malati di fibrosi polmonare idiopatica (IPF). Poiché tale proteina ha la funzione di regolare le difese del corpo nei confronti di determinati stimoli, la scoperta sembra suggerire l'ipotesi che una reazione immunitaria non adeguata ad eventuali agenti infettanti o lesioni ambientali possa avere un ruolo determinante nello sviluppo della IPF.
Curiosamente, il gene TOLLIP che interviene nella prevenzione dell'insorgenza della IPF, è proprio quello la cui variante aumenta il rischio di morte nei pazienti che hanno sviluppato la malattia.
Imre Noth, autore principale dello studio e professore di medicina e direttore del Interstitial Lung Disease Program della University of Chicago ha affermato: “Il nostro iniziale esame ad ampio spettro del genoma ha rivelato 20 loci genetici (locus genico: sito di localizzazione di un gene sul cromosoma) associati alla fibrosi polmonare, mentre una successiva analisi più specifica ha evidenziato il fatto che almeno 4 di questi rivestono un ruolo cruciale”. I ricercatori hanno confermato il coinvolgimento di un gene precedentemente considerato implicato con lo sviluppo della IPF e, soprattutto, identificato il nuovo gene TOLLIP e la sua variante.
“I risultati di questa ricerca cambiano la percezione dell'importanza della genetica nella fibrosi polmonare idiopatica. Un esame preliminare sulle varianti di molteplici geni potrebbe permetterci di prevedere il rischio di morte dei pazienti colpiti da questa malattia anche se il rischio può variare in base alla genetica dei diversi individui,”, ha aggiunto Noth.
La IPF colpisce circa 150.000 persone negli Stati Uniti, di solito al di sopra dei 50 anni d'età, provocando una progressiva cicatrizzazione dei polmoni e, di conseguenza, una sempre maggiore difficoltà di respirazione. Per la maggior parte dei pazienti, la malattia conduce alla morte nel giro di 3-5 anni dalla sua insorgenza, e l'unica terapia efficace è rappresentata dal trapianto polmonare. Secondo l'opinione di Naftali Kaminski, uno dei principali autori dello studio, la recente scoperta porterebbe a pensare che, individuando precocemente la mutazione del gene TOLLIP, si potrebbe decidere di procedere anticipatamente con il trapianto polmonare al fine salvargli la vita. Si potrebbero utilizzare i marcatori genetici per stabilire chi abbia bisogno di un trapianto immediato e per disporre, a fine di ricerca, i pazienti in livelli di studio. Per comprendere meglio una malattia complessa come la IPF, infatti, è necessario portare avanti uno studio su larga scala allo scopo di identificare le varianti genetiche più comuni negli individui colpiti da tale affezione. Questo perché, in molti casi, non è possibile replicare i risultati di un singolo studio. Per affrontare il problema, il team di ricercatori del dott. Noth ha indagato i legami tra marcatori genetici e IPF in tre distinti gruppi di pazienti. I risultati sono stati consistenti in tutti e tre questi gruppi, a conferma della loro riproducibilità e della loro validità nel fornire agli scienziati una migliore comprensione della IPF.
“Queste scoperte aprono nuove prospettive nella ricerca sulla IPF”, ha affermato un altro dei principali autori dello studio, Joe G.N. Garcia, “I ricercatori possono ora concentrarsi sulle varianti genetiche presenti negli esseri umani e le aziende farmaceutiche possono verificare se hanno già farmaci in grado di agire su questi meccanismi, per poter così ridurre i tempi nello sviluppo di nuove terapie”.
“La IPF è una malattia implacabile, che conduce alla morte e per la quale non esistono cure in grado di invertirne l'andamento”, ha aggiunto il dott. James Kiley, direttore della Division of Lung Diseases al National Heart, Lung and Blood Institute, parte del National Institutes of Health che ha contribuito a finanziare lo studio. “Approfondire fondamentali ricerche come questa è ciò di cui abbiamo bisogno per sviluppare terapie che riescano a colpire il processo di base della malattia”.
Ad oggi, oltre al trapianto di Polmoni, vi è una sola speranza farmacologica: il Pirfenidone, farmaco biotecnologico ad uso orale che si è mostrato capace di rallentare la progressione della malattia se preso in fase lieve o moderata, regalando così ai pazienti, se non la guarigione, almeno diversi anni di vita e una chance in più di arrivare al trapianto.