L’intervista con l’esperto di malattie polmonari Steven Nathan (U.S.A.): “Una diagnosi precoce è essenziale per iniziare da subito il trattamento con pirfenidone”
AMSTERDAM (PAESI BASSI) – “Let’s hope for the best but prepare for the worst” (Speriamo per il meglio ma prepariamoci al peggio) è la frase che spesso, suo malgrado, il professor Steven Nathan è costretto a ripetere ai suoi pazienti. Perché la fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia rara e insidiosa che porta alla cicatrizzazione progressiva e irreversibile del tessuto polmonare, rendendo sempre più difficile per loro respirare. L’unica cura è il trapianto di polmoni, ma solo il 5% dei pazienti con IPF lo ricevono, e con risultati peggiori rispetto ad altre patologie.
Il professor Nathan, Direttore Medico del Programma di Malattie Polmonari Avanzate e Trapianti presso l’Inova Fairfax Hospital di Falls Church in Virginia, è fra i maggiori esperti mondiali di malattie polmonari. Osservatorio Malattie Rare l’ha incontrato ad Amsterdam in occasione del Congresso Internazionale dell’European Respiratory Society (ERS), dove ha presentato gli ultimi dati sugli effetti del pirfenidone nella fibrosi polmonare idiopatica.
Professor Nathan, anche se la malattia – come suggerisce il nome – è idiopatica, c’è un’ipotesi più forte delle altre sulle cause di questa malattia?
Possiamo ritenere che sia probabilmente una malattia multifattoriale: una combinazione di predisposizione genetica che incide su alcuni fattori di rischio. Quello che sappiamo è che le persone esposte a qualsiasi tipo di ambiente inquinato, magari a causa della loro occupazione, hanno un’alta incidenza di IPF. Se guardiamo ad esempio i parrucchieri, gli agricoltori, i lavoratori del metallo o del legno, capiamo che chiunque entri in contatto con un ambiente in cui sono presenti delle polveri ha un’alta incidenza di questa malattia. Quindi è così che dovremmo considerare l’eziologia: è probabile che sia un’interazione fra predisposizione e ambiente. E poi, certamente il fumo: circa il 60-70% dei pazienti sono stati fumatori, quindi questo è un altro fattore di rischio, una prova che ciò che hanno respirato ha danneggiato i loro polmoni, nel contesto di una predisposizione genetica.
Si tratta di una malattia che ancora non ha una cura, e con una prognosi particolarmente infausta.
È così: la fibrosi polmonare idiopatica ha un tasso di mortalità superiore a quello della maggior parte dei tumori, inclusi il cancro al seno, alla prostata, e alcune forme di leucemia e linfoma. Solo il cancro ai polmoni e quello al pancreas hanno una sopravvivenza minore. Più comune fra gli uomini, si presenta generalmente dopo i 45 anni: il decorso della malattia è imprevedibile, e la metà dei pazienti muore da due a cinque anni dopo la diagnosi. La sua prevalenza sta aumentando, ma la consapevolezza rimane bassa, nonostante i 35.000 nuovi pazienti diagnosticati ogni anno in Europa.
Il 50% dei pazienti con fibrosi polmonare idiopatica ha ricevuto inizialmente una diagnosi errata. La metà di loro, inoltre, arriva a una diagnosi dopo un anno, iniziando quindi in ritardo il trattamento.
Una diagnosi precoce e accurata è essenziale per iniziare da subito il trattamento con pirfenidone, che può preservare la funzione polmonare e migliorare l’esito a lungo termine di questi pazienti. Occorre poi valutare e discutere sempre le opzioni terapeutiche con il paziente, e in questa scelta occorre considerare vari fattori, fra cui la sua età, la funzione polmonare, le comorbilità, la gravità della malattia, la fragilità, lo stato funzionale, e non ultime le sue volontà e i suoi desideri.