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Il prof. Luca Richeldi, al Congresso Internazionale della European Respiratory Society, ha illustrato gli ultimi dati sul farmaco prodotto da Boehringer Ingelheim

AMSTERDAM (PAESI BASSI) – Ancora una buona notizia per i pazienti affetti da IPF che proprio in questi giorni stanno celebrando in tutto il mondo la giornata nazionale dedicata alla patologia, la IPF Week. La notizia riguarda un dato positivo per il nintedanib (nome commerciale Ofev), la molecola prodotta dall’azienda farmaceutica tedesca Boehringer Ingelheim per il trattamento della fibrosi polmonare idiopatica (IPF). Il farmaco, infatti, ha dimostrato di rallentare la progressione della malattia, riducendo del 50% il declino della capacità vitale forzata.

L’annuncio è stato dato nel corso di una conferenza stampa in occasione del Congresso Internazionale della European Respiratory Society (ERS), che si è svolto ad Amsterdam dal 26 al 30 settembre. Dopo l’introduzione di Allan Hillgrove, membro del Board of Managing Directors di Boehringer Ingelheim, i dati sono stati presentati dal professor Luca Richeldi, docente di Malattie dell’apparato respiratorio e di Malattie polmonari interstiziali dell’Università di Southampton (UK) e già direttore del Centro malattie rare polmonari di Modena.

“L’IPF è una malattia progressiva senza una cura, con sintomi gravi, un trattamento a lungo termine, una prognosi infausta e un tasso di mortalità a cinque anni peggiore di quello della maggior parte dei tumori. Per questo c’è l’estrema necessità di trattamenti innovativi: in assenza di una terapia, la funzione polmonare subisce un rapido declino”, ha spiegato Richeldi.

Il trial di fase III INPULSIS, durato 52 settimane, aveva arruolato 1.066 pazienti in 24 centri internazionali, e già in questo studio il nintedanib aveva dimostrato di ridurre del 50% il declino annuale della funzione polmonare. Una volta concluso, 734 pazienti hanno deciso di proseguire il trattamento nello studio di estensione INPULSIS-ON, ancora in corso: i risultati dopo 48 settimane, come hanno mostrato le analisi ad interim, sono paragonabili.

Ciò fornisce ulteriori prove che l’effetto benefico del nintedanib sul rallentamento della progressione della malattia si mantiene nel lungo termine. Il trattamento (29,2 mesi in media, 40 mesi al massimo) ha avuto inoltre un profilo di sicurezza e tollerabilità gestibile, e i farmaci concomitanti comunemente utilizzati, come gli anti-acidi o i corticosteroidi, non ne influenzano l’effetto.

“I dati di sicurezza ed efficacia presentati sono molto rassicuranti: questo trial aggiunge ulteriore peso alle prove a sostegno di nintedanib come trattamento efficace e sicuro per l’IPF”, continua il professor Richeldi. “Nella gestione della malattia, è importante che i medici discutano con i loro pazienti cosa ci si può aspettare dal trattamento e quale terapia è più adatta a loro, in modo da iniziare le cure precocemente e assicurarsi quindi che il paziente le continui il più a lungo possibile”.

Il nintedanib, già approvato negli Stati Uniti dall’FDA, nel gennaio 2015 ha ricevuto il via libera anche dalla Commissione Europea. Il farmaco, nel luglio di quest’anno, è stato incluso nelle nuove linee guida internazionali per il trattamento della IPF nella pratica clinica. La raccomandazione ha tenuto conto anche del costo previsto per il trattamento e degli effetti collaterali potenzialmente significativi.

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