In uno studio l’esperienza della Prof.ssa Stefanutti (“Sapienza” di Roma) e del Prof. Julius (Università di Dresda)
ROMA – L’ipertrigliceridemia è una malattia metabolica comune, in cui la concentrazione di lipoproteine a bassissima densità e di chilomicroni è elevata nel plasma. Questa malattia può essere provocata da cause primarie o secondarie e nei soggetti affetti può verificarsi da bambini o in età adulta. Una causa genetica può essere alla base dell’ipertrigliceridemia nei bambini e negli adulti, e può essere espressa sotto forma di chilomicroni in un grave quadro clinico noto come iperchilomicronemia familiare da deficit di lipasi lipoproteica o di apolipoproteina CII.
Uno studio pubblicato sulla rivista Atherosclerosis Supplements illustra l’esperienza di due clinici specializzati nel campo delle tecniche extracorporee: la Prof.ssa Claudia Stefanutti, Responsabile dell’Unità di Tecniche Terapeutiche Extracorporee del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università “Sapienza” di Roma, e coordinatrice del Multidisciplinary International Group for Hemapheresis Therapy and MEtabolic DIsturbances Contrast (MIGHTY MEDIC), e il Prof. Ulrich Julius, del Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Dresda.
L’ipertrigliceridemia geneticamente determinata comprende la disbetalipoproteinemia familiare per deficit di apolipoproteina EIII delle lipoproteine a bassissima densità e l’ipertrigliceridemia familiare. Tuttavia, i dati recenti suggeriscono che i classici fenotipi di Fredrickson, che descrivono clinicamente l’ipertrigliceridemia e che una volta erano considerati distinti sulla base di caratteristiche biochimiche, hanno una comune causa genetica.
L’ipertrigliceridemia è stata classificata secondo un recente documento internazionale come mite: 2-10 mmol/L (176-882 mg/dL); o grave: più di 10 mmol/L (più di 882 mg/dL) associata a residui chilomicroni, o lipoproteine a densità intermedia come particelle o chilomicroni. Il trattamento prevede la limitazione nel contenuto della dieta di grassi saturi, alcol, fibrati e acidi grassi omega 3.
Quando i trigliceridi sono gravemente elevati e associati ai chilomicroni, il rischio di pancreatite acuta suggerisce l’uso di opzioni terapeutiche più drastiche, come la plasmaferesi terapeutica. Lo studio della Prof.ssa Stefanutti e del Prof. Julius riassume l’esperienza con la plasmaferesi convenzionale (Plasma-Exchange, PEX) e con diversi metodi di aferesi delle lipoproteine tesi ad abbassare in modo consistente i livelli dei trigliceridi in pazienti con trigliceridi normali, con ipertrigliceridemia lieve o grave. Le future terapie più promettenti in questo campo – spiegano gli autori – sono la lomitapide, i nuovi inibitori dell’apolipoproteina CIII e la terapia genica.