Il Prof. Marcello Arca (Roma) illustra i limiti e le alternative di questa strategia terapeutica
ROMA – I pazienti italiani con iperchilomicronemia sono tuttora privi di una terapia efficace. Lo afferma il Prof. Marcello Arca, responsabile dell’U.O.S. Centro Aterosclerosi – Dipartimento di Medicine Interne e Specialità Mediche – (DMSM) del Policlinico Umberto I di Roma, centro di riferimento per la patologia nel Centro Italia.
“Le persone affette da iperchilomicronemia – spiega Arca – devono affrontare dei drastici cambiamenti negli stili alimentari. Nella fase postprandiale è normale che aumenti il livello dei trigliceridi, per poi diminuire nelle ore successive: in questi pazienti, invece, l’enzima lipoproteina lipasi non funziona come dovrebbe, facendo aumentare i trigliceridi a livelli preoccupanti. Perciò occorre che seguano una dieta a ridottissimo contenuto di lipidi, che è molto difficile da mantenere. In questo senso possono essere utili dei particolari oli per condire e cucinare, chiamati MCT, con trigliceridi a catena media”.
I farmaci utilizzati per l’iperchilomicronemia sono i fibrati, che stimolano la residua funzione lipoproteica e nel contempo bloccano la sintesi dei trigliceridi. “Sono efficaci, ma non al punto da portare il paziente al livello desiderato di trigliceridi, ovvero sotto i 1.000 mg/dl. Nonostante la dieta e la terapia, è capitato che una paziente abbia avuto degli episodi di pancreatite”, racconta Arca. “Queste opzioni terapeutiche sono quindi insoddisfacenti”.
Il futuro per l’iperchilomicronemia è dunque la terapia genica, recentemente autorizzata in Europa dall’EMA. Si tratta di Glybera (alipogene tiparvovec), il trattamento sviluppato da uniQuire, che sarà commercializzato grazie alla partnership con l'azienda italiana Chiesi, per il trattamento dei pazienti affetti da deficit di lipoproteina lipasi (LPLD, anche noto come iperchilomicronemia familiare) che soffrono di attacchi ricorrenti di pancreatite acuta.
Tramite una cinquantina di piccole iniezioni nella muscolatura della coscia, si “trapianta” un vettore virale che trasporta una variante iperattiva del gene della lipoproteina lipasi, il quale va a ricostituire il patrimonio enzimatico. In seguito a questa operazione è necessario effettuare una terapia immunosoppressiva. Secondo le disposizioni dell’EMA i pazienti da sottoporre alla terapia genica devono essere selezionati con cura.
“Questa opzione terapeutica è molto promettente: in fase autorizzativa e di revisione, con un follow up di cinque anni, si è visto che riduce del 50% il rischio di pancreatite. È però riservata ai pazienti con una quota di enzima residuo. Se infatti l’organismo ha memoria di quell’enzima, la terapia va a buon fine; se invece l’organismo non la riconosce, è inefficace. Purtroppo è più frequente che non si trovi traccia di enzima, piuttosto che ce ne sia una quota residua: dei miei pazienti, solo due potrebbero essere candidabili alla terapia genica”.
Un altro approccio è quello con i nucleotidi antisenso anti-APOC3, da somministrare con iniezioni bimensili sottocute. “Con queste molecole è in corso un trial clinico internazionale in doppio cieco che arruolerà circa 50 soggetti non candidabili alla terapia genica, fra cui quattro miei pazienti. Lo studio terminerà nel giugno 2016 e se darà i risultati sperati – conclude Arca – potrebbe rappresentare il raggiungimento di una copertura terapeutica per tutte le condizioni dell’iperchilomicronemia.
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