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Durante il Convegno La ricerca genetica per combattere il linfedema ereditario: l’esperienza della MAGI Euregio svoltosi a Bolzano il 23 novembre, i i principali esperti italiani sul tema si sono riuniti per discutere deli risultati delle più recenti aquisizioni scientifiche.
L’attività di ricerca di MAGI, oggi tra le migliori realtà italiane del settore, ha il compito di capire quanto possano essere dannose le mutazioni genetiche responsabili della patologia che sono state identificate nei pazienti, valutandone l’effetto sulla funzione della proteina FOXC2, fattore indispensabile per la formazione dei vasi linfatici. In questo modo  è possibile definire, con un elevato grado di sicurezza, il minore o maggiore grado di patogenicità di una mutazione.

Le ricadute dei risultati della ricerca sono molteplici, come spiega la prof.ssa Daniela Tavian, del Laboratorio di Biochimica Cellulare e Biologia Molecolare presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano “Nell’immediato, i risultati emersi, consentono un’analisi molto accurata del danno molecolare presente nel paziente e della prognosi correlata. A medio termine, potrebbero portare ad una corretta valutazione del rischio associato all’insorgenza di tumore, consentendo un adeguato programma di prevenzione, poiché è stato ampliamente dimostrato il coinvolgimento del gene FOXC2 nei processi di trasformazione tumorale. Infine, le informazioni scientifiche di base acquisite sulla funzionalità della proteina potrebbero essere sfruttate per sviluppare protocolli terapeutici mirati”.

La dott.ssa Tavian sostiene che possa quindi esserci una relazione tra il linfedema ed il cancro: “E’ un’ipotesi che intendiamo verificare nei prossimi studi. Per ora è stato dimostrato che il gene FOXC2 risulta overespresso in vari tipi di tumore. Tra i pazienti con linfedema primario, ve ne sono alcuni che portano mutazioni nel gene FOXC2. I nostri studi funzionali hanno messo in luce che tra le mutazioni identificate, circa la metà determina una maggiore funzionalità della proteina. Questo è un dato sorprendente da un punto di vista fisio-patologico e della ricerca. Da un punto di vista operativo, dobbiamo verificare se questa “particolare condizione genetica” sia correlata ad una maggiore suscettibilità neoplastica o meno.  Se questa associazione verrà confermata, i pazienti avranno l’opportunità di essere inseriti in programmi di prevenzione adeguati”.

Per approfondimenti sulla patologia leggi l'intervista al Prof. Michelini


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