La ricerca olandese ha condotto una meta analisi su più di 30 studi clinici
AMSTERDAM - La malattia di Fabry è una patologia genetica rara, legata al cromosoma X e causata dal deficit di alfa-galattosidasi A, che porta all'accumulo dei substrati dell'enzima in organelli cellulari chiamati lisosomi, per questo motivo la malattia rientra nella categoria dei disturbi ad accumulo lisosomiale.
La forma classica colpisce principalmente gli uomini, con sintomi come acroparestesia, cioè la sensazione di doloroso formicolio alle estremità degli arti, anidrosi, ovvero l'assenza di sudorazione e, con il passare degli anni la comparsa di complicazioni a carico di cuore, cervello e reni. La forma atipica, che può colpire anche le donne invece presenta uno spettro più variegato di sintomi e può anche essere asintomatica.
Attualmente l'unica terapia disponibile è la sostituzione enzimatica e nel 2001 sono stati messi in commercio due farmaci orfani, approvati in circostanze eccezionali, si tratta degli enzimi ricombinanti agalsidasi alfa e beta.
Data la scarsità di dati riguardanti l'efficacia e la sicurezza di queste terapie, un nuovo articolo, pubblicato recentemente su Journal of Inherited Metabolic Disease e che vede come primo nome il Dr. Rombach della Divisione di Endocrinologia e Metabolismo del Centro Medico Accademico di Amsterdam, riporta una meta-analisi condotta dal team olandese analizzando i dati di 30 studi clinici, al fine di confrontare il peggioramento renale e altre complicazioni dei pazienti curati e di quelli non sottoposti alla terapia di sostituzione enzimatica.
La funzione renale, misurata sotto forma di velocità di filtrazione glomerulare (VFG), ha subito una diminuzione nei pazienti di sesso maschile non curati, in tutti gli studi analizzati.
La terapia di sostituzione non ha generalmente portato miglioramenti di funzionalità renale, tuttavia in due studi la VFG è rimasta stabile negli uomini sottoposti a terapia con agalsidasi beta per due anni. La meta analisi ha dimostrato che il declino di VFG è stato più lento nei pazienti in cura che mostravano livelli iniziali di VFG più bassi, rispetto a quelli non curati o curati ma che presentavano VFG più alta. La funzionalità renale nelle donne invece non ha mostrato cambiamenti tra il gruppo curato e quello non curato.
Nei pazienti di sesso maschile non sottoposti alla terapia di sostituzione enzimatica la massa ventricolare sinistra è aumentata nel tempo, mentre in seguito alla terapia la risposta è stata variabile, tre studi infatti hanno dimostrato diminuzioni della massa ventricolare in pazienti in terapia a base di agalsidasi alfa e beta e altri due hanno riportato una stabilizzazione in seguito a cura con agalsidasi alfa.
Anche nelle donne la terapia di sostituzione enzimatica ha causato la diminuzione della massa ventricolare sinistra.
Due studi, nei quali i dati dei pazienti dei due sessi sono stati uniti, hanno inoltre dimostrato che le complicazioni a carico di reni e cuore e ictus sono state meno frequenti nei pazienti sottoposti alle terapie rispetto a quelli non curati.
Per quanto riguarda infine la comparsa di lesione della materia bianca, non sono state riscontrate differenze significative tra il gruppo di pazienti in terapia e quello non curato, sia negli uomini che nelle donne.
"In conclusione – riassumono gli autori – questo studio mostra che la terapia di sostituzione enzimatica non è in grado di prevenire lo sviluppo di lesioni della materia bianca, ha probabilmente un effetto modesto nel ridurre le complicazioni a danno degli organi e potrebbe avere un effetto limitato sulla funzionalità renale, tuttavia mostra degli effetti sulla massa ventricolare sinistra, indipendentemente dallo stato iniziale della malattia. Dato che nella maggior parte degli studi la terapia è stata iniziata in età adulta, è possibile che la terapia precoce possa prevenire la progressione della malattia".