In un recente studio è stato sottoposto a valutazione un nuovo approccio per lo screening di donne ad alto rischio di sviluppare il raro disordine da accumulo lisosomiale (LSD) conosciuto col nome di malattia di Fabry (FD), una patologia metabolica ereditaria causata da una mutazione del gene GLA che provoca la riduzione o la totale assenza di attività di alfa-galattosidasi (alfa-GAL), un enzima normalmente coinvolto nel metabolismo dei grassi.
La trasmissione della malattia di Fabry è legata al cromosoma X. Nelle femmine eterozigoti, a causa del meccanismo genetico noto come inattivazione del cromosoma X, il grado di attività dell'enzima alfa-GAL è assai variabile. Lo studio in questione è stato condotto proprio allo scopo di determinare la gamma dei valori di alfa-GAL utile ad individuare un soggetto portatore di FD.
Nello studio sono state coinvolte 453 donne, con sospetto clinico di FD e/o con storia familiare positiva per la malattia, a cui è stato sequenziato il gene che codifica per l'enzima alfa-GAL. I dati ricavati sono stati poi confrontati con i valori di alfa-GAL misurati in macchie di sangue secco (DBS), plasma e leucociti.
In base agli esiti dello studio, il test biochimico su DBS si è rivelato essere non abbastanza affidabile per lo screening della FD, in quanto caratterizzato da bassissima specificità. Al contrario, un approccio basato sull'impiego combinato dei valori di alfa-GAL ricavati dall'esame di plasma e leucociti sembrerebbe rappresentare una strategia accurata, veloce ed economica per lo screening di donne ad alto rischio di sviluppare la malattia di Fabry in Paesi a medio e basso reddito, poiché in grado di ridurre al minimo la necessità di lunghi e costosi esami di sequenziamento del DNA per lo screening di tutti i potenziali portatori della patologia.
Ricordiamo che per la malattia di Fabry è possibile anche lo screening neonatale, che permette di individuare la presenza della patologia a poche ore dalla nascita.