Oggi è possibile fare un test che predice lo sviluppo della malattia, “una scelta strettamente personale che deve essere accompagnata, prima e dopo, da un counseling esperto” spiega il prof. Ferdinando Squitieri
Il cinema e la letteratura da ormai lungo tempo raccontano il vissuto di chi si trova ad affrontare una malattia grave. Se un tempo protagonista era soprattutto il cancro oggi questi ambiti si avvicinano sempre più a malattie differenti: è il caso, ad esempio, dell’Alzheimer e della Còrea di Huntington. Le due patologie sono al centro rispettivamente di due film, Still Alice e La Scelta di Katie, tratti dai romanzi della neuropsichiatra Lisa Genova e che vedono come attrice protagonista Julianne Moore.
In Still Alice, interpreta una giovane donna alla quale viene diagnosticata una forma precoce di Alzheimer. Nel film la protagonista alla quale l'attrice americana presta il volto ha tre figli a cui viene consigliato di sottoporsi al test genetico per valutare la possibilità di essere affetti dalla stessa malattia della madre.
In La Scelta di Katie la malattia che entra di prepotenza nella vita di una famiglia è invece la Còrea di Huntington.
IL DILEMMA DEL TEST: SAPERE O NON SAPERE?
Non è semplice per un giovane asintomatico sottoporsi ad un test che potrebbe portare con sé un verdetto difficile da accettare, come nel caso di una malattia neurodegenerativa. Questo infatti accade ai soggetti a rischio che si sottopongono al test per la Corea di Huntington, una patologia neurologica di tipo degenerativo con un decorso progressivo che nel giro di 10-20 anni determina un potente aggravamento della sintomatologia psichica e fisica, modificando radicalmente la personalità, danneggiando la capacità di linguaggio e la memoria, interferendo con “la capacità di coordinare i movimenti e generando improvvisi scatti involontari definiti ‘còrea’, (che in greco significa ‘danza’) e conducendo il paziente ad uno stato di deperimento progressivo che culmina con la morte in seguito all'instaurarsi di complicanze cardiache o polmonari. Questa malattia è oggi curabile in via sintomatica, non può essere ancora guarita.
La Corea di Huntington è una malattia genetica con modalità di trasmissione autosomica dominante che origina da mutazioni nel gene che codifica per la huntiangtina: esiste un test molecolare in grado di stabilire se il soggetto abbia o meno ereditato la mutazione ma la scelta di sottoporsi al test per un individuo di età media di 30 anni non è facile. L'esito del test potrebbe stravolgere non solo la carriera professionale dell'interessato ma anche la sua vita privata, con pesanti ricadute sugli affetti familiari.
In una ricerca pubblicata sulla rivista Journal of Genetic Counseling sono state esplorate le conseguenze della comunicazione di un risultato positivo su un gruppo di giovani adulti asintomatici a rischio di sviluppare la malattia. In particolare, lo studio di tipo qualitativo si è prefisso lo scopo di comprendere le sfide più dure che il paziente deve affrontare e identificare i punti critici nella costruzione di una consulenza genetica mirata. Dallo studio emerge che il venire a conoscenza della parte giocata dalla malattia nel prossimo futuro pone una decisa urgenza di conseguire gli obiettivi prefissati e, al contempo, stravolge l'approccio del soggetto alla vita, influenzando sia gli aspetti personali che quelli relativi alla carriera lavorativa. A cambiare non sono solo le scelte lavorative ma anche la pianificazione della vita familiare. Infine, emerge in maniera netta il ruolo attibuito alla consulenza genetica, che deve competente ed a misura di paziente.
Studi come questo sono utili a chiarire l'impatto dei test che, molte volte, viene considerato un aspetto secondario della malattia e che, invece, porta a galla questioni uniche e intrinseche della popolazione di riferimento che dovrà fare i conti con percorsi di ricerca innovativi, questioni legali e, soprattutto, con lo spettro di una malattia devastante contro cui non c'è possibilità di successo.
“Va sottolineato – commenta il prof. Ferdinando Squitieri (IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza – Mendel e Fondazione Lega Italiana Ricerca Huntington Onlus - che la scelta di sottoporsi ad un test genetico predittivo per una patologia grave neurodegenerativa cosiddetta ‘a prognosi infausta’, come la malattia di Huntington e quella di Alzheimer - non dovrebbe essere mai ‘indotta’ o ‘suggerita’ ma, piuttosto, guidata. La scelta di sottoposi (o di non sottoporsi) ad un test genetico è, e deve essere, strettamente personale. Il counseling serve ad accompagnare chi decide di affrontare un test genetico nel percorso di maturazione della decisione prima e dell’esito del test poi, positivo o negativo che sia. È infatti ampiamente documentato che chi risulta negativo al test viva forti sensi di colpa e pesanti condizioni di disagio ed abbia, quindi, bisogno di supporto nel periodo successivo. D’altro canto, non fornire il counseling o fornirlo a dispetto delle linee guida internazionali, aumenta il rischio di scelte estreme, come il suicidio, purtroppo frequente nei pazienti con malattia di Huntington. In definitiva non ci stancheremo mai di sottolineare abbastanza che, parallelamente al perfezionamento delle tecnologie di diagnostica sempre più innovative, il fattore umano e la competenza di chi assiste continueranno a fare la differenza”.