La prof.ssa Tiziana Enrica Mongini (Torino): “Questo esame rientrerà probabilmente nella prossima legge sul tema: anche il Piemonte è pronto, con un progetto collaborativo ben definito”
TORINO – Fino a dieci anni fa, per la malattia di Pompe, il follow up era standard. Poi, con l'introduzione della terapia enzimatica sostitutiva, dal 2006 (in Italia dal 2007), i medici sono diventati più attenti alla malattia, la conoscono meglio e si soffermano su aspetti prima sottovalutati: hanno studiato in modo approfondito gli aspetti vascolari, quelli neurologici centrali e le funzioni gastrointestinali, e hanno scoperto altri aspetti della malattia, come quelli sfinterici, nonché le problematiche delle pazienti in gravidanza e allattamento.
“Anche il ritardo diagnostico è molto migliorato, grazie al lavoro del Gruppo Italiano Glicogenosi all’interno della “Associazione Italiana di Miologia”, una società scientifica nata nel 2000, e della collaborazione con medici di base e pediatri”, spiega la prof.ssa Tiziana Enrica Mongini, responsabile della Struttura Semplice Malattie Neuromuscolari, SCDU Neurologia 1 della A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino. “Siamo molto orgogliosi dell'ottima rete di collaborazione presente in Italia: i pazienti si sentono più seguiti rispetto al passato, e ciò aiuta a creare un rapporto di fiducia con il medico”.
Nel Centro della prof.ssa Mongini (il cui primo caso diagnosticato di malattia di Pompe risale al 1985) sono in cura circa 15 pazienti, bambini e adulti, dei quali oltre la metà effettua la terapia di sostituzione enzimatica. In tutta Italia le persone affette da questa patologia sono circa 180. “Siamo in grado di intercettare la malattia precocemente, con un test molto semplice, come quello che si fa ai bambini appena nati: una goccia di sangue su carta assorbente. Un metodo poco specifico ma molto sensibile, il cui campione può essere conservato o spedito: negli adulti è uno strumento molto usato, di routine in chi ha sintomi o un sospetto di miopatia”, continua la specialista.
“Lo screening neonatale per la malattia di Pompe verrà probabilmente considerato nella prossima legge sul tema, ma in Toscana e Veneto esiste già con un progetto pilota. Anche qui in Piemonte è pronto un progetto ben definito, grazie alla stretta collaborazione con i pediatri specialisti in malattie metaboliche (dr. Marco Spada) e con i neuropsichiatri infantili (dr.ssa Federica Ricci). Questo infatti ci permetterà di gestire al meglio la differenziazione tra i casi gravi infantili e quelli più lievi a esordio tardivo”.
Nessun dubbio, invece, sull'efficacia della terapia enzimatica sostitutiva (ERT), oggetto di un convegno che si è appena concluso a Parma, e i casi raccontati dalla prof.ssa Mongini sono emblematici. “Ho avuto in cura due fratelli con pochi anni di differenza: il primo, diagnosticato dopo i 50 anni, ha iniziato la terapia prima del 2006 e ora ha 82 anni, deambula autonomamente e non ha bisogno del respiratore; il fratello, invece, che è stato preso in carico in una fase di malattia più avanzata e non ha partecipato alla sperimentazione, è purtroppo deceduto dopo pochi anni. Un'altra signora, diagnosticata proprio nel 2007, con l'ERT ha avuto un parziale miglioramento, riesce a compiere atti della vita quotidiana che prima non riusciva più a svolgere. Alcuni pazienti riprendono a guidare l'auto; la loro qualità di vita migliora, ma soprattutto è molto elevata la loro percezione del miglioramento ottenuto. Essendo una malattia cronica, se non peggiora dopo 10 anni è già un buon risultato”, prosegue la prof.ssa Mongini.
Come regola generale, l'età di esordio può predire il percorso del paziente: se avviene in età infantile piuttosto che in età adulta, è più probabile una disabilità motoria con perdita della deambulazione e ricorso al ventilatore. Certo, la ricerca non si accontenta e continua a cercare nuove molecole: se sulla terapia genica negli ultimi anni le notizie hanno avuto una battuta d'arresto, sono comunque in corso degli studi su una versione migliorata dell'ERT. Una terapia che per ora, secondo le norme AIFA, può essere effettuata solo in ospedale, ogni due settimane: “L'infusione domiciliare, infatti, è un problema a livello nazionale: solo in alcune Regioni come il Veneto è stata tentata una sperimentazione domiciliare, ma in altre Regioni questo non è possibile”, conclude la professoressa. “Eppure in Olanda è una pratica di routine”.