Lo rivelano due nuove scale di punteggio che rispettivamente, dopo un anno di trattamento, mostrano un rischio, nei successivi 10 anni, inferiore del 26% e del 37% rispetto al placebo
Milano – Nella colangite biliare primitiva (CBP), la progressione della malattia epatica è altamente variabile. In molti casi, questa rara patologia autoimmune del fegato viene rilevata in una fase precoce e il trattamento con acido ursodesossicolico (UDCA) migliora la biochimica, impedisce la fibrosi epatica e può ripristinare la normale aspettativa di vita. Tuttavia, in una considerevole proporzione di pazienti, la risposta al trattamento con UDCA è inadeguata, con una conseguente malattia progressiva che può portare a insufficienza epatica o carcinoma epatocellulare.
Recentemente, però, questi pazienti possono contare su un'alternativa: l'acido obeticolico (OCA). Il farmaco, approvato in Europa nel dicembre 2016, rappresenta il primo nuovo trattamento disponibile per i pazienti con CBP da quasi 20 anni. Può essere somministrato in combinazione con l'UDCA negli adulti con una risposta inadeguata a quest'ultimo, o come monoterapia in coloro che non tollerano lo stesso UDCA.
È ben noto come nel trattamento con UDCA la biochimica epatica predica fortemente i risultati a lungo termine della CBP. La risposta a questa terapia può pertanto essere definita in termini di biochimica epatica misurata in un momento specifico, di solito 12 mesi dopo l'inizio del trattamento. Tuttavia, due gruppi di studio indipendenti, il GLOBAL Primary Biliary Cholangitis e il consorzio United Kingdom–PBC, hanno sviluppato due punteggi di rischio (rispettivamente il GLOBE e lo UK-PBC) in grado di predire la mortalità o il trapianto di fegato tenendo conto delle misure biochimiche epatiche e dello stadio della malattia, parametri che le scale già esistenti non consideravano.
Per valutare l'utilità clinica di questi strumenti sono stati utilizzati i dati di POISE, un trial di Fase III che ha studiato l'acido obeticolico nei pazienti con colangite biliare primitiva. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Hepatology Communications: il primo autore è un italiano, il dr. Marco Carbone, ricercatore presso la Divisione di Gastroenterologia dell'Università di Milano-Bicocca.
I dati di 216 pazienti, al basale e dopo 12 mesi, sono serviti a calcolare la variazione di rischio prevista con OCA rispetto al placebo, e il beneficio del farmaco è stato valutato anche nei pazienti che non hanno raggiunto l'endpoint primario di POISE. Entrambi i punteggi GLOBE e UK-PBC hanno previsto una significativa riduzione del rischio a lungo termine di morte e trapianto di fegato dopo il trattamento con acido obeticolico.
Dopo un anno di terapia con OCA 10 mg, il rischio relativo di trapianto di fegato o di decesso nei successivi 10 anni, confrontato con il basale, è risultato inferiore del 26% per il punteggio GLOBE e del 37% per il punteggio UK-PBC, rispetto al placebo. I punteggi hanno previsto anche un rischio significativamente ridotto nei pazienti trattati con OCA che non avevano soddisfatto i criteri di risposta POISE dopo un anno di trattamento: in coloro che avevano assunto placebo, invece, il rischio è aumentato.
Sebbene sia necessaria la convalida di questi risultati in studi con esiti clinici, gli autori mettono in evidenza l'uso potenziale dei due punteggi per la previsione del rischio nella malattia. “Riteniamo che l'applicazione dei punteggi GLOBE e UK-PBC nella pratica clinica potrebbe rivelarsi un passo importante verso la previsione del rischio nella CBP”, concludono i ricercatori. “Potrebbe eventualmente sostituire l'uso di altri criteri di risposta alla terapia, sia nella pratica clinica che nei trial terapeutici”.