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La Dott.sa Pierrottet “Anche grazie alla diagnosi molecolare offerta da Magi trattiamo al meglio la retinite pigmentosa e le altre patologie della retina. In pochi anni potremmo ottenere anche un registro nazionale"La diagnosi molecolare offerta da Magi ci permette di trattare al meglio patologie come la retinite pigmentosa.”

“Fino a 10 anni fa per la diagnosi di una forma genetica di retinite pigmentosa potevano volerci anche 5 anni, oggi la sensibilità è cresciuta e la possibilità di fare test di diagnosi molecolare, come quello che ora anche noi facciamo con MAGI, sta migliorando molto la situazione. In Lombardia il lavoro del nostro centro è noto e gli oculisti non tardano a mandarci i pazienti, magari in alcune altre regioni c’è una minore sensibilità ma i pazienti alla fine arrivano. Ne abbiamo anche dall’estero, addirittura dal Canada” .

A dirlo è la dottoressa Chiara Pierrottet, direttore del Centro di Riferimento per lo studio delle degenerazioni retiniche ereditarie all’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano e coordinatore del gruppo di esperti che in Lombardia ha steso i percorsi diagnostico terapeutici assistenziali per questo gruppo di patologie. Il Centro del’Ospedale San Paolo, infatti, dal maggio 2011 è entrato nella Rete per la Diagnosi e Cura della Malattie Genetiche Rare della Retina e ha aggiunto tra i servizi che offre ai suoi pazienti anche il test molecolare.    

Vi state avvalendo molto del servizio offerto dai laboratori di MAGI?
In un anno abbiamo inviato ad analizzare quasi 180 campioni di ‘probandi’, potremmo dire 180 famiglie per almeno il doppio dei pazienti. Circa un terzo di questi sono già stati analizzati e abbiamo anche trovato nuove mutazioni mai descritte prima. Di campioni ne abbiamo pronti altrettanti; il lavoro si sta molto intensificando, da gennaio a marzo abbiamo visitato altre 280 persone. Ci auguriamo che questa collaborazione con MAGI e con tutta la rete cresca, poterci appoggiare a questo laboratorio per noi è stato davvero molto importante. Le retiniti pigmentose, infatti, sono molte, ogni forma ha le sue manifestazioni. La diagnosi molecolare è fondamentale per dare ai pazienti un’idea sempre più precisa dell’evoluzione della malattia.

La diagnosi dunque non è più un problema?
I pazienti arrivano prima, soprattutto quelli che hanno una storia di familiarità con la malattia, ma ci sono ancora importanti questioni aperte: il modo in cui diagnosi e prognosi vengono comunicati è uno di questi Non si può dire, come succede, ‘lei ha la retinite pigmentosa, alla fine diventerà cieco’. Bisogna saper dare le giuste prospettive permettere al paziente di costruirsi un progetto di vita. Il fenotipo, cioè la manifestazione dei sintomi, dipende dal genotipo, cioè dalla specifica mutazione e dunque prima di dire cosa accadrà bisogna conoscerla. Sono malattie progressive ma l’andamento può anche essere lento: ci sono ragazzi diagnosticati a 15 anni e che a 30 anni o anche oltre hanno un lavoro, leggono e si muovono da soli. Naturalmente il danno c’è, non hanno la patente, delle limitazioni ci sono: è qui che bisogna fare attenzione a non parlare a sproposito di ‘falsi ciechi’.    

Quando si parla di ‘falsi ciechi’ spesso viene tirata in ballo la retinite pigmentosa, come mai?

Il cieco che vive nella totale oscurità nel nostro paese è davvero raro e le persone affette da retinite pigmentosa non vivono al buio. In circa l’80 per cento dei casi il danno comincia della visione periferica: il paziente comincia ad avere problemi nella visione notturna poi gradualmente il suo campo visivo si restringe come se guardasse attraverso un cannocchiale sempre più stretto. Il paziente vedrà  quello che ha davanti, può leggere o vedere la tv, ma quando si alza e cammina non vede gli oggetti che sono intorno, inciampa, cade, urta. Con il progredire della malattia diventa impossibile uscire da soli. In un 20 per cento dei casi la malattia parte, invece, proprio dalla visione centrale e con il tempo, intorno ai 50 anni, compromette anche il campo visivo periferico. Questi pazienti fin dall’inizio hanno problemi a leggere e a riconoscere i volti anche se magari riescono a muoversi nelle strade che gli sono familiari, anche in bicicletta, a distanza vedono la strada anche se poi procedendo perdono la visione di tutti i particolari. Sia nell’uno che nell’altro caso la nostra legge parla di cecità e parlare di ‘falsi ciechi’ può essere un grave errore.

Ad oggi si riesce ad avere un’idea chiara di quanti siano i pazienti con retinite pigmentosa in Italia?
Fin da quanto ho cominciato ad occuparmi di queste malattie ricordo che si poneva il problema del registro. Erano i primi anni ’80, si lavorava senza l’ausilio dell’informatica e della diagnosi molecolare. I pazienti si muovevano da un centro all’altro e non c’erano risorse, il progetto fallì. Oggi grazie alla creazione di questa Rete che ci garantisce uniformità nella classificazione dei pazienti stiamo superando la difficoltà e ci auguriamo che questo lavoro ci conduca in pochi anni ad avere il primo vero registro delle malattie rare della retina.

Oggi, una volta fatta la diagnosi, ci sono terapie in uso o in sperimentazione per questi pazienti?

Per la retinite pigmentosa c’è una terapia, in uso dal 1993, che si basa su una combinazione di  vitamina A e olio di fegato di merluzzo, ed è in grado di rallentare un po’ la progressione della malattia.    
In attesa di terapie più efficaci un grandissimo aiuto ai pazienti viene dalla riabilitazione, ma bisogna saper consigliare gli ausili adatti alle differenti fasi della malattia.     
Per i bimbi in età scolastica un grande aiuto viene dai portatili con telecamera orientabile che consentono di vedere la lavagna e l’insegnante. In questo campo l’informatica è davvero in grande aiuto, anche per gli adulti: ci sono pazienti che hanno potuto ricominciare a leggere semplicemente dopo che gli abbiamo insegnato ad usare degli scanner in grado di trasformate la scrittura in audio. Recentemente abbiamo anche sperimentato degli speciali occhiali, come quelli che sono in dotazione ai militari per le operazioni al buio e che hanno permesso ai pazienti di ricominciare ad uscire di sera.
Il limite di questi ausili, però, è che sono molto vistosi e soprattutto non sono affatto economici: i pazienti devono acquistarli e questo è un limite grave, purtroppo la maggior parte delle moderne tecnologie non è inclusa nel nostro vecchissimo nomenclatore degli ausili e delle protesi di cui da molto tempo si attende la revisione.

Al San Paolo vi occupate anche di ricerca, tanto che da poco avete brevettato una molecola, ancora in fase preclinica, che potrebbe davvero rappresentare un svolta, di che si tratta?
E’ un collirio basato su una molecola che deriva da un fungo: su questa molecola l’università di Milano ha anche mantenuto la proprietà del brevetto. Lo abbiamo messo a punto in collaborazione con il CNR di Pisa e con l’applicazione di nanotecnologie. Nei topi ha addirittura dimostrato di poter bloccare il processo di apoptosi – cioè di ‘morte programmata’ – delle cellule della retina: se funzionasse sull’uomo potrebbe davvero bloccare la malattia e affiancare il farmaco ad una diagnosi precoce potrebbe davvero essere la svolta per questi pazienti. Al momento però siamo fermi alla fase preclinica e non siamo potuti passare alla sperimentazione sull’uomo; per farlo servono fondi e non abbiamo trovato ancora un’azienda che se ne faccia carico. Teoricamente la sperimentazione si potrebbe anche fare usando il fungo ma è chiaro che poi bisognerebbe produrre una molecola di sintesi.

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