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Chi abbia letto “L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello” o “L'occhio della mente” del noto neurologo Oliver Sacks, ricorderà che la perdita di una funzione sensoriale come la vista può avere notevoli ripercussioni sul piano neurologico perché la visione è la prima e più intuitiva forma di conoscenza ed è direttamente collegata al modo in cui costruiamo le nostre categorie mentali. Inoltre, la vista è il carburante con cui alimentiamo la nostra immaginazione e che amplifica la nostra fantasia. La compromissione o, addirittura, la perdita di questa abilità può sconvolgere la vita di un individuo e questo aiuta a comprendere la gravità di una malatttia come l'Atrofia Ottica Ereditaria di Leber (anche nota come Neuropatia di Leber - Leber Hereditary Optic Neuropathy, LHON), una patologia neurodegenerativa rara, provocata da specifiche mutazioni del DNA mitocondriale e caratterizzata da una riduzione dell'acuità visiva.

Il sintomo principale di questa malattia che tocca le cellule ganglionari consiste nella perdita della visione centrale bilaterale, la quale avviene in maniera indolore e improvvisa. Tipicamente la LOHN insorge in età giovanile (tra i 15 e i 30 anni) e colpisce preferenzialmente soggetti di sesso maschile. Gli individui affetti dalla malattia subiscono un rapido calo dell'acuità visiva, al quale si accompagna una sensazione di annebbiamento nella parte centrale del campo visivo. Il coinvolgimento del nervo ottico può, successivamente condurre a cecità. Generalmente, il calo della vista interessa un solo occhio ma nella quasi totalità dei casi, dopo un periodo di 2-4 mesi, anche il secondo occhio subisce il medesimo processo. Il danno è permanente, sebbene in rari casi si sia osservata una regressione della sintomatologia. Questo può essere dovuto in parte al tipo di mutazione che provoca la malattia: la LOHN è causata da circa 18 mutazioni del DNA mitocondriale (mtDNA) ed è, pertanto, ereditata per via materna. Le tre mutazioni missenso 11778/ND4, 3460/ND1 e 144484/ND6 coprono il 90% dei casi di LOHN; in particolare, la prima mutazione è associata ad una prognosi più severa, mentre l'ultima si associa a forme più lievi della malattia.

Non esiste una terapia specifica contro la LOHN e l'unico trattamento finora applicato è rivolto solo all'attenuazione dei sintomi. Vista la natura sequenziale della manifestazione dei sintomi clinici, la malattia si presta perfettamente a fare da banco di prova per nuove terapie, con le quali si intende preservare almeno in parte la vista dei pazienti. Infatti, uno dei vantaggi di questa patologia è che il trattamento può essere applicato in maniera diretta sul tessuto leso attraverso iniezione intravitreale e i miglioramenti sono documentabili tramite valutazione del recupero delle funzioni visive. Ci sono diversi studi clinici nei quali si stanno valutando le opzioni terapeutiche per la LOHN e, in una review pubblicata qualche settimana fa su Current Opinion in Ophtalmology, due ricercatori dell'Università di Atlanta hanno riassunto i principali.

IDEBENONE ed EPI-743
Il ricorso a integrazione di vitamine o altri coenzimi impiegato per trattare certe patologie di origine mitocondriale non sembra aver prodotto evidenze clinicamente sufficienti nel caso della LOHN, mentre l'impiego dell'Idebenone si è dimostrato più efficace nel prevenire la formazione di radicali liberi e, di conseguenza, il processo di perossidazione lipidica. Un primo studio in-vitro su cellule ganglionari retiniche prive del complesso I della catena respiratoria mitocondriale ha messo in luce il ruolo dell'Idebenone nel prevenire la morte cellulare. In un secondo studio, condotto su pazienti trattati per un anno con Idebenone si è osservato un significativo recupero della vista anche in pazienti con la mutazione 11778/ND4. Inoltre, il miglioramento si fa più marcato quando il trattamento è precoce.
La sigla EPI-743 definisce un para-benzochinone con un'attività antiossidante più marcata dell'Ibedenone e che ha prodotto risultati degni di nota in patologie neurologiche quali la malattia di Leigh. Tuttavia, anche se i primi esiti sembrano incoraggianti, il successo di EPI-743 nella cura della LOHN merita ancora molti approfondimenti.

TERAPIA GENICA
Come il cervello, anche l'occhio è un sito immuno-previlegiato che non genera una reazione immunitaria troppo forte: questo lo rende un bersaglio ideale per la terapia genica con vettori virali. Nel caso della LOHN esistono più strade percorribili e la prima prevede l'inserzione di un frammento di DNA esogeno a livello del DNA nucleare grazie all'impiego di un virus adeno-associato ricombinante (AAV). In questo caso, il materiale genetico viene inserito nel DNA del nucleo e, dopo trascrizione e traduzione della corrispondente proteina, questa può essere traslocata nei mitocondri ed essere incorporata nella catena respiratoria, rimpiazzando quella difettosa e prevenendo la formazione di radicali liberi. I primi esperimenti effettuati hanno dimostrato che questo tipo di terapia potrà essere applicata anche nell'uomo. Stanno, infatti, partendo due trial clinici che hanno l'obiettivo di valutare la sicurezza e l'efficacia di questa strategia terapeutica su soggetti umani. Risulta, invece, più complessa da realizzare l'idea di includere direttamente il DNA nel mitocondrio: in questa forma di terapia genica, il vettore virale possiede una specifica sequenza di riconoscimento del mitocondrio grazie al quale è possibile l'inglobamento del frammento di DNA corretto all'interno del mitocondrio stesso, nel quale, poi, sarà prodotta la proteina funzionalmente corretta. La presenza di una doppia membrana a livello mitocondriale rende più difficile questa tecnica che, comunque, in un modello murino ha dimostrato di essere attuabile ed efficace. Infine, nell'ultimo approccio denominato Gene Shifting, il DNA corretto viene incorporato a livello nucleare e, una volta tradotto, origina una endonucleasi che, quando inglobata dai mitocondri, distrugge in maniera selettiva il DNA aberrante, riducendo la formazione di specie reattive dell'ossigeno. Il limite di questa tecnica è che non si applica ai pazienti nei quali coesistano diversi genomi di tipo mitocondriale (eteroplasmia) e, nel caso della LOHN, si tratta della gran parte dei pazienti.

Ad oggi, rimane opportuno il ricorso alla consulenza genetica sia per i pazienti che per i loro familiari ma, soprattutto, è determinante affidarsi ad uno specialista in campo oculistico per migliorare la qualità di vita dei soggetti colpiti. Nonostante non esista ancora una cura per la LOHN sono allo studio diverse modalità di trattamento innovative e, nei prossimi anni, i risultati degli studi clinici già cominciati o in fase di avvio forniranno informazioni preziose per capire quali hanno gli esiti più promettenti.

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