“Un giorno la mia bambina di tre anni cade, la portiamo in ospedale e ne usciamo con una ingessatura. Il tempo di guarire e di nuovo dobbiamo ingessarla a causa di un altro trauma. Che sfortuna, pensiamo con mia moglie. Ma poi, poche settimane dopo, le si rompe una tibia mentre sta ferma in piedi davanti a noi. Nessuna caduta, nessun trauma, scappiamo all’ospedale spaventati.” Inizia così la storia di Pietro Mercuri raccolta da Tamara Ferrari su Vanityfair.it.
“Al Policlinico Umberto I di Roma ci hanno detto che soffriva di una malattia rara che si chiama osteogenesi imperfetta, una patologia genetica che crea problemi a carico dello scheletro, delle articolazioni, degli occhi e delle orecchie. Poiché è ereditaria, hanno chiesto a me e a mia moglie, che era incinta, di fare degli esami. Abbiamo scoperto che ne soffrivamo anche io e la nostra bambina che doveva ancora nascere".
Fino a quel momento Pietro non si era mai accorto di essere ammalato. “Da piccolo mi dicevano che ero un bambino sfortunato, perché portavo sempre il gesso. Ricordo almeno dodici fratture. Inoltre ho problemi di udito, ma all’epoca nessuno si premurò di farmi dei controlli e così ho vissuto parte della vita nella completa ignoranza della mia malattia”.
“È una cosa che può succedere, quando questa patologia colpisce nelle forme più lievi - spiega la dottoressa Anna Zambrano del Presidio Regionale per le Malattie Rare Osteodistrofie Congenite del Policlinico Umberto I di Roma, che è punto di riferimento per tutto il Centro e il Sud d’Italia.- Praticamente è come soffrire di osteoporosi fin dalla nascita, e in più ci sono tutti gli altri problemi alla vista, all’udito e così via.”,
All’Umberto I di Roma sono in cura poco più di 300 pazienti provenienti dal Lazio e dal Sud Italia. Molti si sono riuniti in una piccola associazione chiamata "Il Sogno di Federica", il cui scopo è raccogliere fondi per comprare un macchinario che si chiama Moc (Mineralometria ossea computerizzata).
“In ospedale ce n’è solo uno - spiega il papà - Questo macchinario serve per quantificare l’osteoporosi e monitorare gli effetti delle terapie. È importante, perché con le cure si cerca di rendere le ossa più solide, ma bisogna valutare periodicamente se la terapia funziona e, soprattutto, quanto sta funzionando. Il rischio, paradossalmente, potrebbe essere che le ossa diventino troppo dure e così si spezzino per il problema contrario”.
“Una seconda Moc è indispensabile, poiché quella che c’è si trova in un reparto che per uno come me che cammina è facile da raggiungere, ma per chi è in carrozzina o per quei genitori che portano in braccio i loro figli dalle ossa di cristallo non lo è affatto. In più, se malauguratamente quell’unica Moc dovesse rompersi, pazienti provenienti da fuori Roma o dalle isole farebbero un viaggio a vuoto. Meglio avere una attrezzatura in più, che però costa troppo”.
Per comprare l’apparecchio e garantire maggiore tranquillità e sicurezza per questi pazienti sono necessari 35 mila euro ma, in quasi due anni, ne sono stati raccolti poco più di 7900.
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Per sapere di più sulla osteogenesi imperfetta consulta Orphanet.