Il dr. Marco Piastra: “L’approccio terapeutico deve avvenire in una struttura intensiva di terzo livello, in grado di diagnosticare tempestivamente e trattare sia lo stato cardiocircolatorio che le alterazioni dell'emostasi”
Roma – “Uno dei quadri clinici più gravi e più impressionanti che si possano osservare; non si dimentica”: così il dr. Marco Piastra definisce la purpura fulminans, una rarissima condizione associata alla carenza della proteina C della coagulazione. Lo specialista dell'U.O.C. Terapia Intensiva Pediatrica e Trauma Center Pediatrico del Policlinico “A. Gemelli” di Roma, in 25 anni di carriera ne ha affrontato qualche decina di casi.
La purpura fulminans, nella sua forma congenita, può insorgere in un caso su 500.000 nati: spesso il neonato ha manifestazioni già in utero, e nasce quindi con danni importanti. C'è poi la forma acquisita che – sempre in presenza di un deficit di proteina C – è associata a un'infezione aggressiva, la più nota delle quali è quella da meningococco, ma non solo: può essere legata a diversi agenti come lo streptococco, lo pneumococco o l'infezione malarica. Anche nella purpura fulminans congenita, tuttavia, alcuni decessi precoci possono essere attribuiti a cause infettive.
“L'insorgenza è rapida e progressivamente ingravescente, con la presenza di necrosi cutanea a chiazze (che formano delle escare da sottoporre a chirurgia plastica nei sopravvissuti) e gravi fenomeni ischemici alle estremità”, spiega il dr. Piastra. “In presenza di queste manifestazioni cutanee, associate all’evidenza di un'infezione, la diagnosi di purpura fulminans dovrebbe essere la prima che viene in mente al medico. La necrosi può colpire le dita di mani e piedi, o interi arti, e se il chirurgo non interviene prima, si va incontro al fenomeno dell'autoamputazione: le dita diventano nere e cadono da sole, come mummificate, allo stesso modo di ciò che può accadere a causa del gelo alle dita degli alpinisti”.
Fortunatamente, nell'ultimo decennio la purpura fulminans in forma acquisita è diventata molto meno frequente grazie alle vaccinazioni introdotte di recente, come quella contro il meningococco B, C e altri ceppi. Nonostante ciò, in Italia, nel 2016 si è verificato un incremento di segnalazioni nella Valle dell'Arno.
“La diagnosi e la terapia sostitutiva del disturbo dell’emostasi, mediante infusione di proteina C (Ceprotin), devono avvenire tempestivamente, per contrastare i fenomeni trombotici, e allo stesso tempo occorre curare l’infezione con antibiotici”, sottolinea il dr. Piastra. “Il paziente in shock settico ha bisogno di un'associazione bilanciata di farmaci vasoattivi e fluidi, e può presentare fenomeni emorragici anche severi; talvolta il quadro è fulminante, refrattario a qualsiasi terapia. Si tratta di un paziente estremamente grave, che necessita di un approccio terapeutico in una struttura intensiva di alto livello tecnologico, in grado di correggere i problemi circolatori e sopperire ai disturbi dell'emostasi”.