Il gruppo di ricerca del policlinico Le Scotte di Siena guidato dai Dott. Nicola Giordano e Claudio Corallo, ha recentemente indagato il rapporto tra la proteina osteopontina e la sclerosi sistemica, patologia conosciuta anche con il nome di sclerodermia.
L’osteopontina è una proteina presente in tutti i mammiferi superiori, volta principalmente al mantenimento dell’omeostasi (tendenza naturale al raggiungimento di una relativa stabilità interna delle proprietà chimico-fisiche che accomuna tutti gli organismi viventi) delle ossa e di alcuni processi del sistema immunitario. E’ anche espressa in vari tumori, tra cui il cancro del polmone, il tumore della pelle e il mesotelioma.
Negli ultimi due anni, studi legati al dosaggio di proteine sieriche espresse in corso di sclerosi sistemica, hanno rivelato l’aumentata espressione sierica dell’osteopontina in pazienti affetti dalla connettivite (sia limitata che diffusa) rispetto alla media riscontrata in soggetti sani di controllo. Successivi studi hanno inoltre dimostrato che l’osteopontina contribuisce in modo determinante alla progressione della fibrosi e dell’infiammazione in patologie quali la sclerosi sistemica e/o la fibrosi polmonare.
Queste premesse hanno dato l’input allo studio di Giordano e Corallo, che ha avuto l’intento di indagare con più accuratezza il ruolo dell’osteopontina nella patogenesi della sclerosi sistemica. “In particolare – spiegano i ricercatori - abbiamo riscontrato che l’osteopontina è espressa maggiormente nella cute lesionale (cioè affetta dalla malattia) di pazienti sclerodermici rispetto alla cute non affetta degli stessi pazienti (affetti da sclerodermia limitata) e di soggetti sani. Questi risultati hanno confermato dunque che l’osteopontina è un mediatore della fibrosi e dell’infiammazione in corso di tale connettivite.”
“Per capire meglio in che modo l’osteopontina è in grado di inserirsi nella cascata del processo fibrotico, è stato necessario eseguire ulteriore indagini. In particolare, abbiamo stimolato la cute di soggetti sani (con livelli basali di osteopontina nella norma) con sostanze profibrotiche (cioè che inducono sperimentalmente la fibrosi) tra cui la bleomicina e un cocktail di endotelina-1 (ET-1) e tranforming growth factor beta (TGF-beta). Queste sostanze vergono normalmente utilizzate per studi in vitro e su modelli preclinici in vivo per indurre la fibrosi polmonare e cutanea.
Per testare la progressione della fibrosi indotta da queste sostanze nella cute sana, abbiamo monitorato l’espressione di una proteina chiamata ?-smooth-muscle-actin (?SMA) che rappresenta una delle proteine la cui espressione aumenta in corso di fibrosi. Quando nella cute sana aumentano i livelli di ?SMA (segno di innesco del processo fibrotico) parallelamente aumentano anche i livelli di espressione di osteopontina. Questo risultato ci aiuta a comprendere che l’aumentata produzione di osteopontina nella cute lesionale di pazienti sclerodermici avviene nelle prime fasi (fase di innesco) del processo fibrotico e quindi quando i fibroblasti (cellule responsabili della fibrosi) si differenziano in miofibroblasti con eccessiva produzione di proteine della matrice extracellulare tra cui il collagene.”
Il fatto che l’osteopontina aumenti la sua espressione nelle prime fasi della malattia (early stage) e del processo fibrotico attualmente lascia ben sperare per quanto riguarda nuovi orizzonti terapeutici legati alla prima fase di differenziazione del fibroblasta in miofibroblasta. Infatti l’evoluzione dell’industria farmaceutica è volta alla ricerca di molecole sempre più selettive che possano interferire nei i singoli step della cascata di attivazione fibrotica, andando dunque a selezionare i mediatori della fibrosi che maggiormente sono implicati nella patogenesi della malattia. Oggi sappiamo che l’osteopontina è fra questi mediatori e che esercita una azione profibrotica soprattutto all’inizio del processo morboso.
“I nostri studi continueranno e cercheranno di individuare molecole specifiche in grado di bloccare l’azione della osteopontina stessa. – concludono gli studiosi - Speriamo sempre di avere “sufficienti risorse economiche” per continuare a conoscere meglio e a combattere la sclerosi sistemica, perché non sia più malattia orfana.”