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Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science Signaling, un team di ricercatori italiani tra cui il Prof. Armando Gabrielli, Direttore del Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari dell'Università Politecnica delle Marche, avrebbe individuato i meccanismi alla base del processo fibrotico nella sclerodermia.
“Per fibrosi – spiega il Prof.Gabrielli- si intende l’accumulo nei tessuti di una particolare proteina nota come collageno. Il collageno è indispensabile per una corretta cicatrizzazione delle ferite ma in alcune malattie la sua produzione e deposizione avviene in maniera eccessiva e disordinata ed è responsabile di una profonda alterazione dell’anatomia e fisiologia degli organi colpiti. Nei pazienti con sclerodermia la fibrosi coinvolge non solo la cute, che diventa inspessita e dura al tatto, ma anche gli organi interni quali cuore, rene, polmone, tubo digerente con danni multiorgano che necessitano di terapie specifiche”.

Nei pazienti sclerodermici si verifica un aumento della produzione di anticorpi autoreattivi e in maniera correlata anche dell'attività di segnalazione Wnt. Secondo lo studio effettuato dai ricercatori italiani l'espressione del gene che codifica per il fattore inibitore di Wnt 1 (WIF-1) risulta diminuita nei fibroblasti isolati dai pazienti e tale deficit sarebbe correlato ad una maggiore produzione di collagene.

I ricercatori suggeriscono, nello specifico, che il danno ossidativo a carico del DNA, indotto dagli anticorpi autoreattivi, è causa dell'eccessiva attivazione di Wnt che contribuisce alla maggiore produzione di collagene e, dunque, alla fibrosi.

I risultati ottenuti dal team italiano sono importanti per tutti i pazienti affetti da sclerosi sistemica ma non solo; riguardano anche chi soffre di patologie, come la cirrosi epatica e la fibrosi polmonare idiopatica, caratterizzate da fibrosi.

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