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Che ci sia un legame certo tra la SLA e il gioco del calcio non è stato ancora provato, tuttavia oggi si può dire che il sospetto è stato utile, perché la FIGC – Federazione Italiana Gioco Calcio, per vederci più chiaro, ha contribuito al finanziamento di alcuni studi sulla malattia e uno di questi hanno appena portato ad un risultato molto importante. Sulla prestigiosa rivista Neuron è appena stato pubblicato uno studio italo americano che mostra l’esistenza di un altro gene coinvolgo nella forma familiare della malattia, oltre ai tre già noti. Si tratta della mutazione p.R191Q nel gene della proteina valosin-contenente (VCP), le cui mutazioni erano già state individuate nella miopatia, nella malattia di Paget e nella demenza frontotemporale (IBMPFD).

Ma ciò che rende ancor più importante questo risultato è che la funzione della proteina VCP è già nota, così come i danni derivanti da un suo malfunzionamento. Si tratta di un notevole passo avanti perché aiuta a trovare una spiegazione ai meccanismi d’azione che sono alla base della malattia, andando in particolare a confermare il sospetto già avanzato da tempo che la morte dei motoneuroni sia dovuta ad un accumulo di sostanze prodotte nel normale meccanismo cellulare ma che, proprio a causa della mutazione genetica, non vengono correttamente smaltite. C’è, insomma, del materiale di scarto cellulare che ‘avvelena’ e infine uccide i motoneuroni, causando l’immobilizzazione progressiva del malato. Lo studio è firmato da alcuni dei più grandi esperti italiani della malattia, tra questi Adriano Chiò e Andrea Calvo, del Centro SLA del Dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Torino e Ospedale Molinette, Gabriele Mora, della Fondazione Maugeri, Mario Sabatelli del Policlinico Gemelli e membro di Icomm Onlus, associazioni di ricerca sulle malattie del motoneurone.


Lo studio è stato condotto con la particolare tecnica del sequenziamento dell’esoma, cioè il DNA che codifica le proteine. Analizzando l’esoma di 3 malati appartenenti ad un nucleo colpito dalla forma familiare della malattia con trasmissione autosomica dominante i ricercatori hanno identificato questa nuova mutazione genetica, giungendo anche alla conclusione che almeno un 1 o 2 per cento dei casi di SLA familiare potrebbe vedere implicata questa mutazione genetica, e dunque un processo di accumulo. Riuscire ad impedire che ciò si verifichi potrebbe essere, almeno per questa piccola percentuale di casi, un nuovo obiettivo terapeutico.  

 

 

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