Nei topi con questo gene disattivato è aumentata la sopravvivenza.
Si tratta di ricerca di base, indica una nuova direzione, ma l’applicazione sull’uomo, se ci sarà, è ancora lontana
USA- Un team di ricercatori diretto dal biologo Marc Freeman, professore associato di neurobiologia alla University of Massachusets Medical School, ha scoperto un gene nel “moscerino della frutta” (Drosophila melanogaster) che, se mutato, sarebbe in grado di bloccare l'autodistruzione di assoni danneggiati.
Questa scoperta, ancora tutta a livello di ricerca di base, potrebbe fornire nuovi indizi riguardo al trattamento di patologie neuronali come la SLA . La ricerca è stata presentata a Washington durante la 54ª Annual Drosophila Research Conference della Genetics Society of America.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica è una malattia neurodegenerativa che porta a distruzione progressiva dei motoneuroni, causando una paralisi totale.
I neuroni possiedono una forma caratteristica costituita da una ramificazione di dendriti (i quali ricevono gli impulsi nervosi), da una lunga coda chiamata assone e dal corpo vero e proprio della cellula (un nucleo che ospita la sede dei geni ed è situato tra i dendriti e l'assone) chiamato soma. Ognuna delle parti del neurone è essenziale alla trasmissione dei segnali nervosi quindi, come spiega il dott. Freeman, se si verifica un danno, in qualsiasi punto del neurone, la cellula è automaticamente disconnessa dal circuito e quindi non è più funzionante.
Ad esempio, quando l'assone è danneggiato, avvizzisce e si autodistrugge, impedendo così a tutto il neurone di continuare a funzionare. Questo danno può essere causato da un'infiammazione, da una malattia neurodegenerativa (come la SLA), da un disordine metabolico come il diabete, dall'esposizione ad una tossina o da un tumore.
Il deterioramento dell'assone è proprio considerato uno dei fattori primari che conducono alla perdita di funzionalità neuronale nei pazienti affetti da disturbi del sistema nervoso.
I primi studi sulla distruzione assonale conseguente a danno risalgono addirittura al 1850 e sono stati effettuati dal neurofisiologo inglese Augustus Waller che ha spiegato come un assone separato dal nucleo del neurone e tagliato fuori dall'apporto di sostanze nutritive finisca per rompersi ed essere smantellato dai macrofagi (cellule del sistema immunitario).
“Il concetto che questo processo, chiamato degenerazione walleriana, fosse un deperimento passivo dell'assone è sopravvissuto per circa 150 anni”, ha detto il dott. Freeman.
Alla fine del 1980, però, alcuni ricercatori hanno scoperto nel topo una mutazione (chiamata Wlds) che consente ad un assone danneggiato di sopravvivere per settimane dopo la lesione. Questo ha dato una scossa alle teorie sul deperimento passivo fino ad allora considerate attendibili.
Infatti, spiega Freeman, grazie a questa scoperta si è capito che in determinate circostanze l’assone può rimanere in vita per molto più tempo di quanto si pensasse, arrivando così ad ipotizzare che l'autodistruzione dell'assone è, in realtà, un processo attivo e non passivo, un processo che viene mediato da specifici geni preposti alla demolizione degli assoni danneggiati.
I ricercatori del team di Freeman, dopo essere arrivati a tali conclusioni, hanno eseguito un intenso lavoro di rottura di geni (scelti casualmente) della Drosophila, allo scopo di identificare quelli che, una volta rotti, non fossero più funzionanti e quindi non più in grado di provocare la distruzione dell'assone lesionato.
Questo approccio ha portato all’identificazione di un gene chiamato dSarm, che si trova anche negli uomini e nei topi, la cui funzione è proprio quella di favorire il deterioramento di un assone dopo una lesione. I ricercatori hanno capito, quindi, che disattivando questo gene sarebbero riusciti a proteggere molti assoni e, su queste basi, sono andati avanti con la loro operazione, ottenendo risultati positivi.
Poi, allo scopo di applicare i risultati della ricerca allo studio delle patologie del motoneurone, i ricercatori hanno introdotto il gene Sarm inattivato in un modello di topo affetto da SLA. I topi sottoposti all'esperimento continuavano a perdere peso ed avevano difficoltà motorie ma, rispetto ai loro confratelli senza la mutazione Sarm, hanno potuto vivere dieci giorni più a lungo e almeno la metà dei loro motoneuroni è rimasta intatta. “Dato che non tutti i motoneuroni sono necessari” ha detto il dott. Freeman “anche subendone una riduzione del 50% un paziente potrebbe sentirsi molto vicino alla normalità e questo cambierebbe significativamente la sua vita”.