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Gian Luca Forni

La terapia genica può essere davvero una concreta speranza di guarigione per i pazienti? A queste ed altre domande risponde il dottor Gian Luca Forni, Presidente SITE

Oggi, in Italia, le condizioni di vita dei pazienti con talassemia sono nettamente cambiate, in meglio, rispetto al passato; inoltre, i risultati raggiunti negli ultimi mesi da alcuni protocolli di terapia genica lasciano ben sperare su una possibile guarigione dalla patologia. Ad approfondire questi aspetti, è il dott. Gian Luca Forni, Direttore del "Centro della Microcitemia, Anemie Congenite e Dismetabolismo del Ferro" dell’Ospedale Galliera di Genova, Referente della Rete di Riferimento Europea per le malattie ematologiche rare (ERN EuroBloodNet) e Presidente della SITE, Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie, recentemente intervistato sul tema anche da Mood Italia Radio

Talassemia, anemia mediterranea, malattia di Cooley: tanti nomi per un’unica patologia. Dottor Forni, può spiegarci come mai?

I diversi nomi dati alla malattia derivano dal fatto che vi sono state sovrapposizioni di ricerche scientifiche quando la patologia è stata studiata per la prima vola. Tuttavia, c’è un’etimologia comune a tali definizioni ed è costituita dal termine “thàlassa”, che in greco significa “mare”. Così, anche il termine anemia mediterranea richiama il rapporto con il mare. Il dottor Cooley, nella sua descrizione, parla di una patologia estremamente diffusa nel bacino del Mediterraneo. In realtà, questa malattia è estremamente presente in tutta la fascia temperata del mondo, e in particolare nelle zone in cui era diffusa la malaria. Il portatore sano di talassemia è infatti particolarmente resistente alla malaria, anche se non immune, e questo gli consentiva una maggiore probabilità di sopravvivenza.

In cosa consiste la talassemia e cosa la determina?

Nel paziente talassemico la produzione di emoglobina – la proteina che trasporta l’ossigeno nei tessuti del nostro corpo – è carente. Questa carenza può essere parziale, dando vita al “portatore sano” di talassemia, o può essere quasi totale, procurando la forma più grave della patologia, detta “major” o trasfusione-dipendente (TDT). C’è poi una terza ipotesi, quella della talassemia “intermedia”, in cui la carenza non è così grave da richiedere la terapia trasfusionale continuativa, detta anche, perciò, talassemia non trasfusione-dipendente (TNTD).

Come SITE avete il quadro generale dell’andamento della talassemia in Italia. Può dirci quanti pazienti vivono in Italia e qual è il loro quadro clinico generale?

Un recente censimento fatto proprio dalla SITE - a cui hanno partecipato circa 120 Centri italiani che seguono pazienti con varie forme di emoglobinopatie, quindi sia talassemia che drepanocitosi - ha registrato circa 5.500 casi di talassemia trasfusione-dipendente e circa 2.500 casi di talassemia non trasfusione-dipendente. La diffusione territoriale prevalente conferma i dati del passato, registrando una maggiore concentrazione di pazienti nel Meridione e nelle isole. Se invece consideriamo anche la drepanocitosi – più comunemente conosciuta come anemia falciforme – il dato sull’intero territorio nazionale è piuttosto omogeneo, con una cifra complessiva che si attesta attorno ai 10.000 pazienti affetti da emoglobinopatie. È importante sottolineare anche che circa il 10% della popolazione italiana è portatore di anomalie dell’emoglobina. Come è noto, da due portatori sani può nascere, nel 25% dei casi, un bambino affetto dalla forma più grave della patologia. Per la talassemia trasfusione-dipendente, l’andamento della curva relativa all’aspettativa di vita – che oscillava tra i 20 e i 40 anni nei pazienti nati prima degli anni ’80 – oggi è molto cambiata, con un’aspettativa di vita molto più ampia. Quindi, parliamo di una prognosi che è diventata “aperta”. Negli ultimi anni, inoltre, si è registrato un picco di nuove nascite di bambini con talassemia poiché molte coppie di portatori sani hanno deciso, sempre più frequentemente, di portare avanti la gravidanza anche se consapevoli del fatto che il bambino sarebbe stato ammalato. Questo proprio in virtù del fatto che la prognosi della patologia è molto cambiata.

La talassemia è considerata una malattia rara, ma i numeri che ci ha esposto ci parlano di una diffusione importante. È ancora opportuno oggi classificare la talassemia come rara?

Questa è una classificazione che sta stretta, soprattutto in alcune regioni d’Italia. Addirittura, negli anni ’60-‘70 del secolo scorso, la talassemia era considerata una malattia sociale, per la sua grande diffusione nella popolazione italiana. Poi negli anni ’80 e ’90, in seguito alle campagne di prevenzione che hanno contribuito a ridurre sensibilmente il numero dei nuovi nati, la patologia è rientrata tra le malattie rare. Oggi siamo in una situazione borderline, soprattutto se consideriamo l’alto numero di portatori sani e i nuovi flussi migratori, che registrano numerosi arrivi di popolazioni provenienti da zone ad alta prevalenza di emoglobinopatie.

La qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti è nettamente cambiata. Cosa significa nascere oggi con la talassemia?

Ancora oggi, il paziente con talassemia major ha necessità di sottoporsi a frequenti trasfusioni di sangue ed altre terapie che lo costringono a recarsi spesso in ospedale. Le trasfusioni se, da un lato correggono l’anemia, dall’altro sovraccaricano di ferro gli organi interni del paziente portandolo, in passato (in assenza di terapie chelanti), alla morte in giovane età. Oggi, le nuove terapie chelanti, quelle per rimuove il ferro in eccesso, sono molto efficaci, motivo per cui si parla di patologia a prognosi aperta. Inoltre, non solo la vita delle persone con talassemia si è allungata, ma anche la qualità della stessa è migliorata. Abbiamo molti pazienti che riescono a diventare genitori, mentre prima era impensabile che una paziente potesse portare avanti una gravidanza. Adesso, una delle problematiche che riscontriamo maggiormente è l’osteoporosi, patologia tipica dell’età adulta, questo a dimostrazione di come sia cambiato nettamente il quadro generale della malattia, grazie a terapie convenzionali.

Negli ultimi anni si sente sempre più parlare di terapia genica. In termini molto semplici, potrebbe dirci cosa sia la terapia genica in generale?

La talassemia, come detto, è una patologia ereditaria con un danno al DNA, ossia dovuta a geni difettosi non capaci di produrre adeguatamente l’emoglobina, e quindi l’unico rimedio sono le trasfusioni. La terapia genica si pone come alternativa per cercare di correggere il difetto genetico del paziente, in modo che l’organismo diventi capace di produrre normalmente l’emoglobina.

Quali sono le fasi previste dai protocolli scientifici per arrivare dalla sperimentazione in laboratorio al letto del paziente?

Esistono, nei protocolli clinici, le cosiddette “Fasi”, necessarie a verificare che le ipotesi della ricerca siano corrette o meno. Ancor prima si inizia con gli studi preclinici, condotti su modelli animali, e poi si procede con le Fasi cliniche I, II e III, in cui una terapia viene sperimentata nell’uomo per accertarne la sicurezza e l’efficacia. Questi passaggi sono obbligatori e la transizione da una fase all’altra può richiedere anche anni, poiché i controlli sono molto rigorosi a tutela della salute del paziente. Alla fine del percorso si sottopongono i risultati ottenuti alle autorità regolatorie – FDA in America ed EMA in Europa – che ne controllano innanzitutto la sicurezza e ne verificano l’efficacia. Nel caso in cui il parere delle autorità regolatorie sia positivo, prima che si arrivi alla disponibilità del farmaco c’è l’ultimo passaggio con le istituzioni nazionali, per la negoziazione del prezzo della terapia.

Sentiamo parlare di diversi protocolli terapeutici per la talassemia che agiscono sul DNA. Qual è, in tal senso, la situazione oggi?

Ad oggi, un farmaco [beti-cel, precedentemente noto come LentiGlobin, N.d.R.] è stato approvato in Europa ed è attualmente sotto la supervisione dell’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco. Si tratta di una terapia genica che consiste nell’immettere nell’organismo, tramite un vettore lentivirale, un gene capace di produrre l’emoglobina. La sperimentazione fatta è positiva – tanto che l’EMA l’ha approvata - e si attende l'assenso finale dall’AIFA che dovrebbe arrivare a breve. A quel punto sapremo in che modo potremo utilizzare questo farmaco in Italia e su quali pazienti, e sapremo quali Centri italiani saranno autorizzati ad effettuare il trattamento. La terapia genica beti-cel prevede comunque un auto-trapianto che, pur avendo minori problemi di sicurezza rispetto al trapianto da donatore, necessita tuttavia di essere eseguito esclusivamente in Centri che hanno esperienza in questo settore. Un altro aspetto importante è l’arruolamento dei pazienti. Infatti, la terapia beti-cel è attualmente approvata per pazienti con caratteristiche ben definite. Gli esperti della SITE, in tal senso, hanno prodotto un documento – adottato poi dalla European Hematology Association (EHA) – con cui è stato definito un algoritmo capace di selezionare, in base a specifiche caratteristiche, i pazienti di ogni Centro che rientrano nelle caratteristiche previste per l’impiego del farmaco. Si tratta quindi di selezionare, con un modello oggettivo – il nostro algoritmo, appunto – quei pazienti su cui la terapia ha la maggior probabilità di funzionare. Quello che abbiamo messo a punto è un algoritmo dinamico, ossia una procedura capace di adeguarsi ad altri prodotti in uscita e grazie ai quali la platea di pazienti da selezionare potrà essere sempre più ampia. Mi riferisco, ad esempio, alla terapia di editing del genoma, che consiste nel correggere direttamente il DNA. Per la talassemia, questo approccio, attualmente ancora in fase di sperimentazione, punta a ‘riaccendere’ il gene che produce l’emoglobina fetale – quel tipo di emoglobina che abbiamo prima della nascita e che poi sparisce – in modo da compensare la carenza di produzione di emoglobina adulta che caratterizza il paziente talassemico. L’obiettivo è sempre lo stesso: liberare il paziente dalla dipendenza dalle trasfusioni di sangue, riducendo al contempo anche gli accumuli di ferro, in modo da migliorare complessivamente la qualità della vita del paziente stesso. Questi differenti protocolli terapeutici hanno fornito degli ottimi risultati, in base ai quali è lecito essere fiduciosi; tuttavia, è sempre importante tenere i piedi ben saldi a terra e procedere con prudenza e rigore scientifico, così come è importante che i pazienti seguano accuratamente le terapie prescritte.

A proposito di sicurezza e prudenza nell’utilizzo di nuovi farmaci e trattamenti innovativi, è di questi giorni la notizia di uno stop alle sperimentazioni sulla terapia genica per l’anemia falciforme, terapia che si basa sullo stesso approccio utilizzato per la talassemia. Potrebbe dirci cosa succederà adesso?

A seguito di due eventi avversi verificatisi in un trial sulla terapia genica per pazienti con anemia falciforme (SCD), la ditta produttrice e l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) hanno precauzionalmente sospeso anche gli studi in corso nella talassemia e la commercializzazione del farmaco beti-cel, là dove approvato, in attesa che sia chiarita l’eventuale correlazione tra l’utilizzo del trattamento e gli eventi avversi segnalati.

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